giovedì 23 maggio 2013

Poesia13, cantiere aperto di ricerca letteraria

Mini cronaca di un evento “memorabile”


La tre giorni reatina di Poesia13, cantiere aperto di ricerca letteraria

Buona parte del gruppo degli escargottini l’ ho conosciuto a Roma verso la fine degli anni Novanta e l'inizio dei nuovi in occasione della manifestazione - reading Voce! organizzata dalla biblioteca Alessandrina, evento tenutosi presso l’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma, poi ripetuto l’anno seguente sulla terrazza del Rettorato. Preciso, li ho conosciuti in voce e per voce, dal momento che essi frequentavano da tempo casa Pagliarani, alcuni come Tommaso Ottonieri e Sara Ventroni essendone assidui.



Tommaso e Sara fornirono un elenco di poeti giovanissimi ed emergenti fra cui ricordo Florinda Fusco e Giovanna Marmo, un allora, per noi, sconosciuto Vincenzo Ostuni, una conosciutissima Lidia Riviello. Elio Pagliarani seduto al centro del palco dell’Aula Magna orchestrò la riunione preceduta dalle lezioni magistrali di Remo Rufini e Vincenzo Cappelleti. L’idea che muoveva Voce!  era quella di attuare, per voce, una rottura di ambiti dove voce e gesto della parola poetica  e voce della parola didattica si incontrassero  realizzando empatia di ascolto e accrescimento di vitalità.
Eravamo alle porte del terzo Millennio, la cultura digitale aveva operato nelle scelte  pioneristiche della biblioteca che dirigevo, Elio Pagliarani col suo metodo, la sua scuola, centrata sull’interazione e sull’ inesemplare esemplarità del discorso linguistico e della persona –  caratteristica di cui era perfettamente consapevole come, fra l’altro, emerge nelle pagine del Promemoria – appariva, ed era, uno dei pochi, forse l’unico?, in grado di poter fronteggiare il cambiamento catalizzando e centrifugando l’esperienza poetica  e facendo superare, nell’ascolto, guadi che potevano sembrare – e lo erano – insuperabili: il linguaggio della scrittura e il linguaggio accademico.
Voce! quindi fu. Voce declamante e performativa. Nei miei ricordi assertiva e tranquillamente sicura della propria funzione e ruolo. Con Pagliarani che batteva il tempo con la mano assecondando e incoraggiando ritmi e sottotracce ritmiche, imprimendo col gesto direzioni di marcia.


Poi è stato Escargot con la lettura, la riflessione sui testi del gruppo, all’interno del gruppo, negli ambienti dell’Esc di via dei Volsci, e ora, più di vent’anni dopo, questoPoesia 13, Cantiere aperto di ricerca letteraria tenutosi in una affannatissima tre giorni nell’ospitale complesso delle Officine della Fondazione Varrone.
Il colpo d’occhio, dovrei meglio dire il colpo d’orecchio, citando “il verso secondo l’orecchio” ricordato dal Pagliarani traduttore di Charles Olson, al di là delle differenze fra i singoli che si dispongono su una linea graduata, marcata anche dalle differenze anagrafiche, è quello di un cambiamento nella postura della voce, da una esibizione performativa esplorante senso e soggetto ad una lettura bloccata e scarnificata.
Ma non si può certo semplificare giacché le sfumature fra i diciannove diversi poeti e le differenze fra le loro scritture sono davvero tante: si va dalla voce centrata e significante di Ventroni, Fusco, Calandrone, Policastro, Marmo e Ostuni al voluto, estremo, nascondimento di Morresi e Annovi attraverso la trasparenza frammentata del senso di Riviello, Zaffarano, Marzaioli, Pugno, Socci e Giovenale fino al territorio indistinto dove poesia e prosa si incontrano nella più ampia dizione di scrittura con movimento tuttavia inverso rispetto al genere della “prosa poetica” (cripto-metri che vanno verso la prosa e non narrazione che si muove verso la musicalità poetica) e ad esso assolutamente non riconducibile (Michele Fianco, Mariangela Guatteri, Alessandra Cava e Marilena Renda).



E proseguendo con il colpo d’occhio (e non più con l’orecchio, non solo) si ha l’impressione che il terzo millennio, pur in quel territorio neutro più volte richiamato da Andrea Cortellessa come fosse un far west del passaggio per la conquista di una nuova, sconosciuta dimensione, non solo linguistica ma politica, con la nuova misura del linguaggio digitale, il suo viluppo video-linguistico, il presente interattivo della comunicazione e la sua misura breve, sia entrato a far parte della scrittura di queste due ultime generazioni sostituendo alla nozione plurilinguistica quella dell’uso di compresenti modalità comunicative ( Elisa Davoglio).

L’arco della ricerca è davvero ampio e complesso. Impossibile percorrerlo con chiarezza in poche righe: si va dalla punta estrema di una visionarietà trasfigurante il quotidiano come nei versi di Florinda Fusco, dall’intensità poematica, densa di significato, di Sara Ventroni  e di Maria Grazia Calandrone, dal flusso di coscienza di Gilda Policastro al gesto volutamente minimo  e d’angolo dei più giovani ( i già citati Annovi e Morresi).

Molti i critici in discussione, accompagnanti ed esplicanti, più che interroganti, i testi, critici delle nuove e vecchie generazioni, interni ed esterni al gruppo Escargot, dal più “anziano”, Giulio Ferroni, sul punto di concludere il suo percorso didattico alla Sapienza – il 22 maggio la sua ultima lezione – a Arturo Mazzarella, Giorgio Patrizi, Tommaso Ottonieri e Andrea Cortellessa fino ai più “giovani”, Massimiliano Manganelli, Francesca Fiorletta, Paolo Febbraro, Cecilia Bello Minciacchi, Federico Francucci, Roberto Galaverni , Paolo Giovannetti, Antonio Loreto, Fabio Zinelli e Paolo Zublena.



Serpeggiante il dibattito, nato sin dalla sera del diciassette, nonostante la stanchezza dei convenuti (sessione dei lavori aperta fino a mezzanotte e mezza ) poi emerso del tutto, come da programma, nel pomeriggio di domenica diciannove e svoltosi sul ciglio delle questioni centrali - non solo in poesia – della nostra epoca: l’autore, il soggetto, l’io, la memorabilità, il significato e la valenza  politica della scrittura, con ripetute evocazioni della poesia italiana novecentesca da Balestrini ad Antonio Porta, a Edoardo Sanguineti ed Amelia Rosselli, al, più volte ricordato, Aldo Palazzeschi.


Finale appassionato e “accaldato” con richiesta di chiarezza e di valore ( Gilda Policastro).
Questioni non da poco se a sollevarle è la generazione che ora deve prendere, e pretendere, la scena trovandola occupata da tanti che seguitano a fare confusione e, nel rumore, non vedono, non sentono, sulla pelle e sulla lingua, la contemporaneità e il nuovo modo di comunicarla (come se un amanuense insistesse a negare l’esistenza del libro a stampa).
Ad Andrea Cortellessa il compito finale di concludere tentando di riassumere le varie domande in una sola: cosa vuol dire ricerca, quale il suo significato politico.

La risposta Andrea la dà nel corpo della lingua citando l’Elio Pagliarani della Lezione di Fisica (1964): “ e invece non ci basta nemmeno dire no che salva solo l’anima
ci tocca vivere il no misurarlo coinvolgerlo in azione e tentazione

perché l’opposizione agisca da opposizione e abbia i suoi testimoni.”

Cetta Petrollo Pagliarani

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