domenica 22 novembre 2009

Antonio Barbieri

http://rootiers.blogspot.com/2009/11/antonio-barbieri.html
Perche' il problema e' tutto questo: sostituire agli oggetti edenici di cui sono stato deprivato le malfidate parole. Anche qui. E adesso pero' io copio in questo caso da Beckett. Non importa: citavo Blanchot per dire con lui che Dio e' lontano per sempre, nella religiosita' degli ebrei. Intanto, ho disseminato questo testo, contestualizzandomi, di un sacco di frasi apodittiche. E' la mia voglia di finire e non poter finire (e qua mi serve Cacciari) il mio viaggio, la mia scrittura, e' un viaggio all'interno di me, nel mio deserto, giacche' io sono incapace di risposte, sapendo che non avro' mai una meta e che questa sconfitta, scontata, non mi prostera', ma accendera' il mio lamento all'infinito (io, intanto, fingero' di andare e tornare, ma e' chiaro che non mi muovo di un passo). La mia voce in me si spegne, morsa dal fading della sua lontananza inattingibile, che sono io chiuso nella logica di profitto della grammatica e di tutte le leggi che sostengono e alimentano il senso della realta' e il principio di non contraddizione ad essa connesso. Io sono il guardiano di me stesso, ancora Cacciari, che mi sta davanti, l'ingenuo contadino o chi altri, e a cui impedisco il passaggio, davanti al portone della legge. Sono io stesso, non sono qui per caso, sono qui esclusivamente per me stesso. La porta non e' custodita da nessuno, la porta e' aperta e non c'e' nessuno.

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