venerdì 30 dicembre 2011

tecnologie-della-parola


Stefania e Germana drizzano le orecchie, non a caso. Lo stage 20-10 per le Redazioni Digitali cela un'intenzione più vasta, quella di raccogliere i frutti di un lavoro decennale sul web digitale per le professionalità di redattore e di editor.
Trattandosi di training on the job abbisogna di interlocutori ai quali fornire delle soluzioni adeguate di networking, per i quali fare il lavoro.
Non ci mancano (Corsi di Laurea, Dipartimenti, Facoltà, Insegnamenti, Supporto alla didattica), ma difficilmente (esclusi i laboratori del prof. Gambarara) ci possono accompagnare solidarmente in questo progetto, dovremo aggiustarci, vediamo perchè.

I nostri criteri, irrinunciabili (che quindi pesano sul committente) per una ricerca che sia tale, comportano nel networking:
  • innanzitutto, il target giovane, anzi giovanile, dei redattori-utenti che cioè prevede una pratica volontaria degli studenti, libera, utilitaristica, gratuita, di diletto, che dal punto di vista della produzione e del lavoro implica fatalmente un'atteggiamento volontaristico degli stagisti rispetto alle richieste di sistema del committente classico (callcenter, tutoraggio,test di verifica, notizie eterodirette) ;
  • poi, il reclutamento degli studenti per gli stages "interni" della triennale e della magistrale - cioè che si svolgono all'interno dello stesso corso di laurea - risente di questà gratuità (intesa come libertà di pensare insieme sia al processo che al prodotto finale) e delle ragioni di opportunità (sono comodi, sono il rifugio a portata di mano dello studente per non fare gli stages in azienda o in una istituzione) che limitano la selezione necessaria d'ingresso che non ha da essere di specialità - sia chiaro - ma di motivazione;
Chiediamo agli stagisti
  • coinvolgimento nella riflessione tecnologica che porti a compromettersi col codice, quindi con la natura algoritmica dei linguaggi veicolati dal web e dal digitale che includono tutte le retoriche antiche e moderne;
  • disponibilità ad uno stile di studio-lavoro definitivo, cioè già consapevole della scelta ulteriore che richiede la partecipazione ad un gruppo di lavoro obbligante che non preveda da parte dell'istituzione forme di compenso al di fuori della routine voti/crediti;
Per questo la prima attività comune dello Stage sarà di ricognizione e di definizione successiva della committenza possibile, sia interna che esterna all'Università.

_da [Stage 20-10] [http://ambientidigitali.blogspot.com/2009/08/stage-20-10-tecnologie-della-parola.html][tecnologie della parola]

giovedì 22 dicembre 2011

L'obbedienza

" (..) dribblano la razionalità del linguaggio e seducono con quelle che lui chiama idee senza parole :formulazioni luminose e carezzevoli, in realtà stereotipate, che fanno presa con la potenza irresistibile della suggestione. Semplificando, diremmo slogan dove non c'è un bel niente da capire, dato che contasolo l'adesione emotiva. O  l'obbedienza. (..) "



«Il mito è una “storia vera” accaduta al tempo delle origini, che spiega come siano nate tutte le cose dell’universo e come abbiano fatto gli uomini, per la prima volta, a mangiare, a riprodursi, a fabbricare oggetti, a combattere ecc.». Nel Moderno invece «i nuovi miti rappresentano una fuga dalle restrizioni e dai dolori della realtà storica. Non potendo essere un “eroe”, l’uomo si crea eroi esemplari nelle persone che godono di particolare ricchezza, successo, notorietà ecc. (...) Non potendo vivere in una comunità effettivamente solidale, si crea comunità mitiche (dalle “società segrete” dei bambini a quelle degli adulti, dai gruppi dei tifosi sportivi alle comuni hippies ecc.)». Nella modernità, insomma, i miti sono «generalmente valori sostitutivi: compensazioni di valori assenti o non percepiti». Tecnicizzato, il mito funziona come «macchina mitologica », dispositivo che fabbrica mentalità, fedi, obbedienze politiche, stili di vita, mode.

Marco Cicala / Furio Jesi

La piccola dea


Ci sono artisti vulcanici che ogni anno eruttano un nuovo libro, spinti dal piacere di scrivere, raccontare e confermarsi nelle patrie let­tere, e altri - pochissimi - che per l'intera vita lavorano 
a un testo che sempre li lascia insoddisfatti. Roberto Varese fa parte di questa sparuta fa­miglia. Accumulate in una torre vacillante, credo di avere almeno quindici versioni del suo unico lavoro, che mai diventava un libro definitivo. Confesso che dalla terza versione in poi non ho piu letto niente, aspettando il testo finale. «Ho cambiato un capitolo», oppure: «Ho aggiunto una poesia, ma non sono ancora convinto», mi diceva Roberto quando lo incontravo nel suo infinito vagabon­dare per le strade di Roma. Perche Varese e un consumatore di certezze e di suole, cammina per la citta, la osserva, ammira le ragazze, entra nei bar e nelle chiese e intanto pensa a una virgola da spostare, a un aggettivo che - come il pisello della favola - gli impedisce sonni tranquilli. 
Ha iniziato il suo percorso accanto a tanti altri scrittori della sua generazione: loro intanto pubblicavano, diventavano quasi famosi, e lui stava sempre lì, a scartavetrare una frase ancora ruvida, a rammendare un endecasillabo, a togliere una lettera. Il suo libro così è diventato una leggenda, misteriosa fabbrica di San Pietro, invisibile tela di Penelope. «Cerco la semplicità, ma ancora non l'ho trovata», diceva Roberto. Ma che libro sara mai? E' il libro di una vita, dunque dentro c'e di tutto: un romanzetto ironico, un pugno di poesie, pochi brevi racconti. E' fuori da ogni genere, un pacchetto di fogli scompaginati, di pensieri, spunti, rancori, illuminazioni che - così pensavo - mai si sarebbero rappresi in un volume. Varese - mi dicevo - non ce la farà a venire capo di questa impresa ambiziosa e disordinata come la sua vita, che chiede la perfezione e non ottiene nulla. E invece, miracolo stupefacente, dopo vent'anni il libro è finito, esiste, si chiama «La piccola dea» ed e stato stampato da Fazi. E' una piuma, volteggia nella sua grazia e rischia di cadere nella disattenzione assoluta. Io l'ho letto con commozione, come una cosa che finalmente nasce, o che muore felice. 



La bella storia di un romanzo infinito di marco lodoli
roberto varese «La piccola dea» editore fazi

giovedì 15 dicembre 2011

Mais toi, quand viendras-tu?

2 giorni fa
La traduzione in redazione Videor
Editor: Orazio Converso
jongleur1781 ha detto:
Fantastica traduzione di Luzi di "Mais toi, quand viendras-tu?" di Michaux. L'antologia promette bene.

mercoledì 14 dicembre 2011

Cascando


1
why not merely the despaired of
occasion of
wordshed
is it not better abort than be barren
the hours after you are gone are so leaden
they will always start dragging too soon
the grapples clawing blindly the bed of want
bringing up the bones the old loves
sockets filled once with eyes like yours
all always is it better too soon than never
the black want splashing their faces
saying again nine days never floated the loved
nor nine months
nor nine lives
2
saying again
if you do not teach me I shall not learn
saying again there is a last
even of last times
last times of begging
last times of loving
of knowing not knowing pretending
a last even of last times of saying
if you do not love me I shall not be loved
if I do not love you I shall not love
the churn of stale words in the heart again
love love love thud of the old plunger
pestling the unalterable
whey of words
terrified again
of not loving
of loving and not you
of being loved and not by you
of knowing not knowing pretending
pretending
I and all the others that will love you
if they love you
3
unless they love you


(S. Beckett, 1936)
from Collected Poems in English and French, S. Beckett, Grove Press, Inc. N.Y. 1977
 Egli rifiuta ogni speranza, deride ogni ottimismo ragionevole. Solo coloro che hanno capito fino in fondo che qualsiasi ottimismo è irragionevole riescono a scorgere in quell'opera la fondamentale assenza del suo contrario, il pessimismo. Dalla Prefazione di Rodolfo J.Wilcock 

martedì 13 dicembre 2011

Stopping by woods on a snowy evening

Whose woods these are I think I know.
His house is in the village though;
He will not see me stopping here
To watch his woods fill up with snow.


My little horse must think in queer
To stop without a farmhouse near
Between the woods and frozen lake
The darkest evening of the year.


He gives his harness bells a shake
To ask if there is some mistake.
The only other sound’s the sweep
Of easy wind and downy flake.


The woods are lovely, dark and deep,
But I have promises to keep,
And miles to go before I sleep,
And miles to go before I sleep.


Fermandosi accanto a un bosco in una sera di neve


Di chi sia il bosco credo di sapere. Ma la sua casa è in paese: cosi’ Egli non vede che mi fermo qui A guardare il suo bosco riempirsi di neve. 
Troverà strano il mio cavallino Fermarsi senza una casa vicino Tra il bosco e il lago gelato La sera più buia dell’anno. 
Dà una scrollata al suo sonaglio Per domandare se c’è uno sbaglio: Il solo altro suono è il fruscio Del vento lieve, dei soffici fiocchi. 
Bello è il bosco, buio e profondo, Ma io ho promesse da non tradire, Miglia da fare prima di dormire, Miglia da fare prima di dormire.

traduzione di Giovanni Giudici, tratta da http://www.azulines.it/stories/paolac.html

giovedì 8 dicembre 2011

Pour vivre ici



Les forêts, les buissons, les champs de blé, les vignes, 
Les nids et leurs oiseaux, les maisons et leurs clés,
Les insectes, les fleurs, les fourrures, les fêtes.
[Quel che a me il giorno aveva dato, ho dato: Boschi, siepi, campagne a grano, vigne, I nidi e i loro uccelli e le case e le chiavi, Gli insetti, i fiori, i mantelli, le feste]

martedì 6 dicembre 2011

Giovanna Bemporad

Esercizi vecchi e nuovi

Giovanna Bemporad 
Esercizi vecchi e nuovi
Edizioni: Archivio Dedalus
Collana: Lumen poesia
Autore: Giovanna Bemporad
Curatore: Andrea Cirolla
Numero pagine: 233 

lunedì 5 dicembre 2011

son minime repubblicuzze


Con proibire tutto a tutti, la delinquente brigata ha garentito a sé ogni maggior comodità e sicurezza, dello illecito contro eventuali masnade concorrenti; simile a chi crea una riserva da cacciare e da raccogliere a sua posta, senza tema e senza pericolo, e’ suoi adepti simulare grinta e ringhiare, dormir soavi o sedere al gioco senz’opera quanto gli è piaciuto e paruto; e dar di mazza o di stocco, fucilare, deportare, bavare e gracidare nelle concioni e delirare nelle stampe; il Vigile dei destini principe ragghiare da issu’ balconi ventitré anni, palagiare la campagna brulla di inani marmi e cementi, e voltar gli archi da trionfo, anticipati alla cieca ad ogni sperato trionfo e assecurata catastrofe. 

Seminato il vento machiavello d’una sua brancolante alleanza, ricolse tempesta issofatto dalla maramaldosa pugnalata inferta a un morente popolo. 

Ruggente lïone di tutto coccio stivaluto e medagliuto, lungimiranza ve’ ve’ di tremebondo bellico lo strascinò di forza alla smargiassata africana, a spargere ne’ deserti feral morbo con porger l’otre alla sete degli eroi e de’ martiri, non anco patita la volontà del socio di ferro di cui, vaso di tutto coccio, così ciecamente s’era costituito prigione. Securo come il fulmine di quel tal securo, largì alti alpini del Piemonte alla morte senza scarpe, poche mitragliatrici bastarono nella tormenta e nel luglio senza scarpe, i tremila metri aiutando.

 Tempista ed arùspice de’ più dotati di bel tempo, ora viene il bello. No, no, no, Polonia, Danemarca, Norvegia, Franza, Scrotoslavia, Lucimburgo, Turchia, Sguizzara, tutta Grecia e Spagna, e dimenticavo Portogallo, e fino l’Andorra e ’l San Marino, che son minime repubblicuzze ne’ monti, no, no, le non si sono alleate alle belve, le non sono slittate sfinctericamenie alle guerre omicidiali dell’imbianchino. Egli, dico il Cupo nostro, e’ volle da prima alla su’ gloria, minacciosa gloria, la baggiana criminalata ad Affrica: ch’era del caffè poco pochino e dello istrombazzato e inesistente petrolio: e dell’oro e del platino, gràttati!: e del carcadè: paventando la ciurma non si stesse cheta, mobile e tumultuaria ch’ella fu sempre e divertita alle fanfare e agli svèntoli, se non a gittarle quell’offa dentro le fauci isciocchissime, (1935), di quella bambinesca scipioneria: dove andarono al sale da ottanta a novanta miliardi lire, in asfaltare le bassure clorurate della Dancalia, dopo aver pagato, per ogni sacco di cemento, oro, il passaggio a i’ ccanale.

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