venerdì 20 marzo 2009

I comici in poesia

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Che cos'è il comico? Bella domanda. Sono secoli che ci si industria a cercare di venire a capo di una questione assai complessa con il guaio che i discorsi sul comico non sono comici e dunque inducono a riflessioni seriosissime. (..)In fondo la neoavanguardia fu una "rivoluzione" all'insegna del comico, dell'abbassamento.
Lavorando sul comico e praticando la comicità la neoavanguardia è riuscita a procurarsi moltissimi nemici ormai storici, perché gli sberleffi sono stati presi per diktat e le situazioni per categorie kantiane.
(..) La letteratura italiana ogni tanto avrebbe bisogno di rinnovare il proprio rapporto (nei secoli così' discontinuo) con la comicità. Proposte ironiche se ne vedono ormai poche. D'altra parte il secolo passato è vissuto di tragedie e catastrofi: il comico va annoverato fra le catastrofi. E' inevitabilmente distruttivo.
Sarebbe interessante, invece, tentare una ricognizione nei territori della comicità involontaria. Non viviamo forse un'epoca di controfigure?

Loose Poetry 1995

E la giornata è avviata

XVI

...I vecchi del paese sono i primi ad alzarsi,
a schiudere lo scuro e a guardare il cielo, il mare che muta colore
e le isole, dicendo: la giornata sarà bella se si giudica da quest'alba.

Ed è subito giorno! e il bandone dei tetti s'accende
nell'ansia, e la rada è in preda al malessere, e il cielo al brio,
e il Narratore si slancia nella veglia!
Il mare, fra le isole, è rosa di lussuria; il suo piacere
è cosa da discutere, lo si è preso con una partita di braccialetti
di rame!
Fanciulli corrono alle rive! cavalli corrono alle rive!...
un milione di fanciulli le cui ciglia sono come umbelle...
e il nuotatore

ha una gamba in acqua tepida, ma l'altra gravita in
una corrente fresca; e le gonfrene, le eruche, l'acalèfi
dai fiori verdi e quelle radici cespitose, barbe dei vecchi muri
impazziscono sui tetti, all'orlo delle gronde,
poiché un vento, il più fresco dell'anno, s'alza, dai laghi
d'isole che s'inazzurrano,
e infrangendosi fino a quegli isolotti piatti, le case nostre,
s'insinua in seno al vegliardo

per la rada di tela fino al punto pieno di crine fra
le due mammelle.

E la giornata è avviata, il mondo
non è così vecchio che subito non abbia riso...

È allora che l'odore del caffè torna su per la scala.

XVII

« Quando avrete finito di pettinarmi, avrò finito di
odiarvi.»
Il bimbo vuole che lo si pettini sulla soglia della porta.
« Non tiratemi così i capelli. È già troppo che sia necessario
toccarmi. Quando m'avrete pettinato, v'avrò odiata ».
Intanto la saggezza del giorno prende forma d'un
bell'albero
e l'albero dondolante
che perde una manciata d'uccelli,
alle lagune del cielo squamma un verde cosl bello
che non c'è nulla di piu verde se non la notonetta.
« Non tiratemi così forte i capelli...»
XVIII

Ora lasciatemi, vado solo.
Uscirò, perché ho da fare: un insetto m'aspetta per
trattare. È gioia per me

vedere il grande occhio sfaccettato: angoloso, imprevisto,
come la bacca del cipresso.
Oppure stringo alleanza con le pietre venate di blu:
e lasciatemi lo stesso,
seduto, nell'amicizia delle mie ginocchia.

1908

consigli (consejos) come guida

Conviene dare una leggiucchiata a questa guida prima del concerto, in modo che dopo si sa già un po' a cosa guardare, dove soffermare di più la propria attenzione. Inoltre per qualche brano si impiega forse più tempo a leggere la descrizione che a sentire il pezzo. E anche durante il concerto conviene leggere con una certa furberia, in modo da evitare che quando si è arri­vati a leggere la descrizione di una cosa, l'evento a cui ci si riferisce appartenga già al passato.
Piero Leone. Guida all'ascolto del Messia di Haendel. Consigli per la lettura.

[Antonio Barbieri] Camilleri all'Alessandrina

Nell'incontro con il pubblico [ 7 dicembre ' 99] Camilleri ha sostenuto:
1) che la sua scrittura ha bisogno della voce - ossia che egli, in qualche modo soggiace all'oralità, per così dire;
2) che egli ritiene che si può benissimo rinnovare la Lingua per mezzo dei dialetti - che altrimenti si perderanno - anzichè con l'ausilio, come d'uso, delle lingue straniere.

Per il punto 1), quindi, ritorna il fantasma della grana - dell'impasto sonoro che ci prende
alle spalle mentre si scrive -, richiamando un pò Barthes, che è senz'altro lo spettro della memoria - patrimonio genetico dell'umanità - che ci rulla dentro e che evochiamo, magari incosciamente, e magicamente - ritualmente - con la scrittura.
Indagare questa sorta di "demone", sondarne natura e struttura, significa calarsi - tuffarsi - nel mare di noi che ci parla, esistenzialmente, prima di tutto, mentre ci esprimiamo secondo il patto sociale di solidarietà umana che attraversa e governa la Lingua, sociostoricamente.
L'oralità è il nostro doppio, in questa guisa, quel tanto e quel qualcosa che tralasciamo, ma che ci accompagna insonne, aderendo alla comunità linguistica e costituendoci attori - attanti - del discorso. Il computer, i mezzi elettronici, della nuova e cospicua tecnologia, che ci accomoagnano, ora, racchiudono, mi sembra, al di là dell'asettica scientificità pretesa e presunta, questo tenebroso mistero di intangibilità e insondabilità della comunicazione.
Io, elettronicamente, mi dilato, esprimendomi, più narcisisticamente di quanto si pensi e, perciò, più narcoticamente "altro" d'ogni pianificazione digitale. Le parole - e lo dimostrano i nuovi esperimenti video - diventano vera e propria "materia", incandescente e vibrante, che grancassano, malgrado me, il mio vuoto di "voce", parlandomi nella distanza cosmica che, allegoricamente, fagocita l,"origine", di cui sono orfano, della parola.
Questo, ritengo, il ribaltamento essenziale: la pianificazione elettronica, ch'è materia sonora e vibrante, miscela incandescente, mi appaga, rimbalzandomi vuoto, all'infinito, dei miei precordi smarriti e dimenticati. E' una scrittura, l'elettronica, che soddisfa quante altre mai l'oralità, sia pure tradendola (in quanto fissa il vortice dell'amplificazione che mi vende al mercato delle voci, senza più che mi appartemga). In quanto, rispetto al periodo ordinato e piatto della stampa, io perdo l'orientamento e piuttosto mi labirintizzo; e seguo la virtualità del mio pensiero, astrattamente e speculativalente, più di quianto mi poissa assorbire la materialità della grafia, della stampa, che è materia di soddisfacimento visivo e manducativo.
L'oralità è la sacralità del dire, in quanto manifesta l'alito divino (Borges ha specificato che il volare del verbo - parola - è estensivo, accrescitivo, non limitatito, nei confronti della scrittura). La scrittura, come sociostoricamente codificata, fin qui, è l'ordine riconosciuto ed estraneo - rispetto al soggetto, disoggettivante -, con cui il soggetto si consegna alla comunicazione corrente ( anche quando, nel caso di poeti e scrittori, specie sperimentali, l'attaccano per strizzarne ogni libertà espressiva: l' individualità mitopoietica dell'arte è il salto, il conflagrarsi della collettività, per il massimo riconoscimento collettivo d' ogni istanza individuale che il socius ha eluso o deluso).

Dei "dialetti", per il punto 2) di Camilleri - in lui il siciliano - è un'ipotesi - è il tarlo che baca la mela, nel senso che esprime con vigore le pulsioni, direttamente, che poi la mediazione socio-storica stempera -, mi sembra, accantonandone ogni recupero romant ico e prelapsario alla Pasolini - l'universalità semantica -, mi sembra importante il registro espressionista - deformante rispetto al Centro - di Gadda.
In questo senso i dialetti equivalgono alle lingue straniere: straniano, raffreddano, condensano, in modo che il testo, insomma, dal suo stesso interno, possa desiderarsi e inseguirsi "altro".

mercoledì 11 marzo 2009

martedì 10 marzo 2009

Daniela Attanasio


Roma La Sapienza Casa dello studente via De Lollis

[Arte] Carlo Cattaneo


Cattaneo, che aveva 79 anni, viveva a Roma da molti anni, ma aveva comunque mantenuto forti legami con Alassio (..)  Amico e frequentatore del gruppo di maestri di cui facevano parte Carlo Levi, Giovanni Gromo, Giuseppe "Baby" Bechi, Galeazzo Viganò e Felice Andreasi, Cattaneo fu anche un  finissimo scultore e ceramista. Cattaneo, che era nato ad Alassio, andò a studiare a Roma all'Accademia delle Belle Arti e la prima mostra la fece nel 1949, quest'anno avrebbe dunque tagliato il traguardo di un sessantennio di mostre.
Fonte: Claudio Almanzi

NOTA segue
dello stesso autore il Caffè Illustrato
Carlo Cattaneo, Il Caffè Illustrato, Sabina Fiorenzi, Walter Pedullà

sabato 7 marzo 2009

Riviello a via Montegiordano [1987]


Più a sud del sud c'è sud
sud e sud, tanto sud che
ancora a sud non c'è che sud
a perdita d'occhio sud
all'infinito sud,
solo alla fine dei sud,
si fa solo per dire,
c'è l'ultimo sud,
il sud più sud che mai
il sud-sud, il suddissimo,
poi c'è il Sud-Africa.

(1989)

P


Edoardo Sanguineti [il comico in poesia] alfabeto apocalittico

Congedo del viaggiatore cerimonioso

Giorgio Caproni, Congedo del viaggiatore cerimonioso, in Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee, Milano, Garzanti, 1966

Amici, credo che sia

meglio per me cominciare

a tirar giù la valigia.

Anche se non so bene l’ora

d’arrivo, e neppure

conosca quali stazioni

precedano la mia,

sicuri segni mi dicono,

da quanto m’è giunto all’orecchio

di questi luoghi, ch’io

vi dovrò presto lasciare.

Vogliatemi perdonare

quel po’ di disturbo che reco.

Con voi sono stato lieto

dalla partenza, e molto

vi sono grato, credetemi,

per l’ottima compagnia.

Ancora vorrei conversare

a lungo con voi. Ma sia.

Il luogo del trasferimento

lo ignoro. Sento

però che vi dovrò ricordare

spesso, nella nuova sede,

mentre il mio occhio già vede

dal finestrino, oltre il fumo

umido del nebbione

che ci avvolge, rosso

il disco della mia stazione.

Chiedo congedo a voi

senza potervi nascondere,

lieve, una costernazione.

Era così bello parlare

insieme, seduti di fronte:

così bello confondere

i volti (fumare,

scambiandoci le sigarette),

e tutto quel raccontare

di noi (quell’inventare

facile, nel dire agli altri),

fino a poter confessare

quanto, anche messi alle strette,

mai avremmo osato un istante

(per sbaglio) confidare.

(Scusate. È una valigia pesante

anche se non contiene gran che:

tanto ch’io mi domando perché

l’ho recata, e quale

aiuto mi potrà dare

poi, quando l’avrò con me.

Ma pur la debbo portare,

non fosse che per seguire l’uso.

Lasciatemi, vi prego, passare.

Ecco. Ora ch’essa è

nel corridoio, mi sento

più sciolto. Vogliate scusare).

Dicevo, ch’era bello stare

insieme. Chiacchierare.

Abbiamo avuto qualche

diverbio, è naturale.

Ci siamo - ed è normale

anche questo - odiati

su più d’un punto, e frenati

soltanto per cortesia.

Ma, cos’importa. Sia

come sia, torno

a dirvi, e di cuore, grazie

per l’ottima compagnia.

Congedo a lei, dottore,

e alla sua faconda dottrina.

Congedo a te, ragazzina

smilza, e al tuo lieve afrore

di ricreatorio e di prato

sul volto, la cui tinta

mite è sì lieve spinta.

Congedo, o militare

(o marinaio! In terra

come in cielo ed in mare)

alla pace e alla guerra.

Ed anche a lei, sacerdote,

congedo, che m’ha chiesto s’io

(scherzava!) ho avuto in dote

di credere al vero Dio.

Congedo alla sapienza

e congedo all’amore.

Congedo anche alla religione.

Ormai sono a destinazione.

Ora che più forte sento

stridere il freno, vi lascio

davvero, amici. Addio.

Di questo, sono certo: io

son giunto alla disperazione

calma, senza sgomento.

Scendo. Buon proseguimento.

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