- Tu sposa della quiete, ancora inviolata,
- tu figlia adottiva del Silenzio e del lento Tempo,
- narratrice delle selve, che puoi quindi narrare
- una raffinata storia più dolcemente di quanto fanno le mie rime:
- quale leggenda vive, ornata di foglie, nelle tue forme
- di divinità e mortali, o entrambi,
- a Tempe o nelle vallette d’Arcadia?
- Che uomini e che dei sono questi? Quali fanciulle ritrose?
- Quale folle ricerca? Quale tentativo di fuga?
- Quali flauti e tamburi? Quale estasi selvaggia?
- Le melodie udite son dolci, ma quelle che non si sentono
- lo sono ancora di più; quindi, dolci flauti,
- continuate a suonare, non per il l’udito, ma, ancora più caro,
- suonate per lo spirito canzoni senza suono:
- bel giovane, sotto gli alberi, non puoi cessare
- la tua canzone, né mai saranno spogli quegli alberi;
- amante audace, non potrai mai, mai baciarla
- anche se sei così prossimo al tuo obiettivo - eppure, non temere;
- lei non può scomparire, anche se non raggiungi la tua gioia,
- tu amerai per sempre, e lei sarà per sempre bella.
- Ah felici, felici rami! Che non potete perdere
- le foglie, e non direte mai addio alla primavera;
- e, felice suonatore, mai stanco,
- che intonerai per sempre musiche sempre nuove;
- ancor più felice amore! Più felice, felice amore!
- Per sempre caldo e ancora da godere,
- per sempre ansimante, e per sempre giovane;
- siete superiori a ogni viva passione umana,
- che lascia il cuore afflitto e nauseato,
- la fronte in fiamme, e la lingua arida.
- E chi sono costoro che vanno al sacrificio?
- A quale verde altare, oh sacerdote misterioso,
- conduci quella giovenca che muggisce al cielo,
- coi lisci fianchi adornati di ghirlande?
- Quale piccolo paese sul fiume, o sul mare,
- o quale pacifica cittadella inerpicata sui monti
domenica 11 ottobre 2015
ode on a grecian urn
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