domenica 31 marzo 2013

Primo d'aprile a ventanni

Queste giornate di primavera, sono sicura, me le ricordero' / per questa primavera in se' e per la totale difficolta' ad accettarla.
Una difficolta' intima: come se l'inverno non fosse durato abbastanza (dico che e' troppo presto!) / non e' durato molto il mio letargo, intendo.
E sono indispettita: tutto questo rinascere significa attivita' movimento "vita" alla decima potenza / e io non sono pronta! non sono pronta per la vita? / chiamatemi alla vita solo quando occorre quando e' urgente / non sempre.
So gia' che a qualcuno non piacera', / e forse anche a me. Dalla finestra, la mattina la luce del sole e' maldestra rompe il sonno insistente prematuramente / e grido: ne ho bisogno! / perche' allora io sogno dopo una notte passata a rincorrere / il sapore delle cose vissute per prova per gioco / solo la mattina poco prima dell'alba, il momento e' giusto / ma il sole di questa primavera lo guasta.
Allora in macchina per tutto il tratto di strada che mi separa da casa recito 100 volte / l' Ave Maria in inglese cantileno filastrocche / all'infinito: e penso / che questa primavera e' prematura /  e perciottanto dura. [ 1.aprile.94[

giovedì 28 marzo 2013

una generazione che ha troppo sofferto


“Io appartengo ad una generazione che ha troppo sofferto
la censura del soggetto: sia per via del positivismo (oggettività
richiesta nella storia letteraria, trionfo della filologia), sia
per via del marxismo (molto importante, anche se non
sembrerebbe più, nella mia vita). Valgono di più gli inganni
della soggettività che le imposture dell’oggettività. Vale più
l’Immaginario del Soggetto che la sua censura”.

Barthes, Introduzione al I Corso del Collège de France

martedì 26 marzo 2013

Clea ad Alessandria


Una sottile disperazione invade l' anima del lettore quando comincia a rendersi conto che Il Quartetto di Alessandria di Lawrence Durrell (ha mezzo secolo, oramai, perché i quattro romanzi che lo compongono: Justine, Balthazar, Mountolive e Clea apparvero in sequenza dal 1957 al ' 60) è arrivato al momento in cui si consumeranno gli addii. Molti personaggi, come Melissa la ballerina del night-club, sono morti. Altri partiti. Altri, come il diplomatico Mountolive, sono invecchiati e partiranno. Altri, talmente trasformati da rendersi irriconoscibili: come la dea di questo romanzo, Justine. Adesso, fedele al duplice mandato che fin dall' epoca del suo fondatore ha esercitato su di sé e i suoi abitanti ed è consistito nell' inghiottire la memoria e nel decretare l' impossibilità dell' amore, Alessandria - la città costruita su un promontorio di ardesia come una diga per contenere la marea della tenebra africana, la città delle Cabala e di Kavafis, delle sette e dei credi, ma anche della dissipazione, non può far altro che inghiottire definitivamente se stessa, trasformarsi in un sogno, e decretare la fine di ogni amore. Infatti, è come in sogno che Darley, lo scrittore ferito nell' amore, può contemplarla dalle sponde dell' isoletta greca nella quale si è ritirato per cercare di districare il viluppo dei sentimenti e ricostruire gli avvenimenti e il tempo, nel momento in cui, insieme alla luce sfolgorante dell' Egeo, il romanzo che dobbiamo considerare uno dei capolavori del Novecento, muove i primi passi nell' impervio cammino degli anni ancora troppo vicini per poter essere considerati con distacco, gonfi ancora di ferite e di dolore. Il mare è azzurro, deserto, fluttua silenziosamente. Ma ecco che, in fondo, simile a un miraggio, sorge un altro mare blu cupo; e un cielo color perla nel quale si confondono il grigio dei palazzi europei e il bianco dei minareti e le pietre corrose dell' antico Faro; e le due anse perfette del porto; e, dietro al porto, la superba Corniche, con i tendoni colorati dei suoi caffè sotto i quali si assiepano i commercianti greci italiani e armeni, i finanzieri libanesi, i diplomatici francesi e inglesi, gli egiziani, gli ebrei Mentre in quel silenzio marino emerge il cigolio dei tram sui binari intasati di sabbia; si distingue la dolce voce del muezzin sospesa come un capello negli strati alti dell' aria; affiorano la cantilena del venditore d' acqua e il fruscio delle palme; si ode il gorgoglio del narghilé simile al singhiozzo di una colomba ferita; il suono dei passi delle donne velate; quello, provocato dal vento del deserto, contro le imposte ammuffite delle stanze bollenti; quello delle voci che, al mattino, nella fresca bottega del barbiere Memijan, profumata di acqua di rose, commentano i fatti di una città che non si deve sorprendere di nessun eccesso e di nulla... C' è un albergo, il Cecil, al centro della Corniche, nei cui specchi appare per la prima volta Justine, una delle tre donne amate da Darley (le altre sono Melissa e Clea). Così è descritta da Arnauti, l' uomo che lei ha sposato prima di Nessim: «Oscurità sopra bianco avorio marmoreo, capelli neri risplendenti, occhi profondi pieni di sospiri in cui il tuo sguardo affonda, perché sono nervosi, avidi di sapere, d' una curiosità sensuale». Figlia di una povera famiglia proveniente da Salonicco, Justine ha subito due traumi: è stata violentata da un parente quando era ragazzina, e un giorno la sua bambina è scomparsa. Ora è sposata con Nessim, il ricchissimo copto al quale si è legata con un contratto matrimoniale che all' inizio non contempla l' amore - però un tempo ha amato una donna, Clea, e non è riuscita a vincere il terrore che le provoca l' amore; ama Darley, lo scrittore timido, perché questo amore le consente di offendere Nessim, di allontanarsi da lui, e quindi forse di poterlo anche amare, però ama anche Pursewarden, l' altro scrittore, che invece la disprezza e forse per questo motivo lei ama; dona a tutti il suo corpo, «ma è incapace di concedere il suo vero io, perché non sa dove si trovi». Memorabili sono le due scene nelle quali Justine seduce Darley. La prima, sulla spiaggia di Bourg al Arab immersa nella luce malva-limone del pomeriggio, distesi sulla sabbia, con i costumi umidi dopo il bagno. «E se dovesse capitare a noi, che diresti?» chiede con voce roca Justine. «Da quel momento», scrive Darley, «i suoi baci furono tremende pugnalate dolci che lasciavano senza fiato, interrotte solo da un riso selvaggio». La seconda, sempre di pomeriggio, quando con un abito bianco e i sandali entra nella stanza del modesto appartamento che Darley divide col diplomatico francese Pombal. «Voglio farla finita con questa storia al più presto», dice Justine. «Il corpo nudo e aspro di Justine», scrive Darley, «si muoveva come trattenuto entro la lente di ingrandimento di una lacrima gigantesca». Dopo, lei sussurrerà: «Sono sempre così maldestra la prima volta, chissà perché». Ma una battuta pressoché identica molte pagine più avanti la pronuncerà Clea, nell' ultimo romanzo. Perché? Cosa temono, nell' amore, gli stranieri che abitano Alessandria? Perché ripetono ossessivamente che l' unico amore possibile è quello che si nutre della perdita o del tradimento? Che si va a letto con una persona solo per evitare di innamorarsi di quella persona? Che l' amore è limitato, sempre, perché la sua destinazione vera è nelle regioni imperscrutabili dell' anima? Non lo sappiamo. «Baciala», scrive Arnauti, il primo marito di Justine, «e ti accorgerai che i suoi occhi non si chiudono, anzi si spalancano in un dubbio e una pazzia crescenti. La sua mente è tanto all' erta da rendere parziale ogni dono del corpo: un terrore che non può essere curato altro che raschiandolo via». Perché? Forse perché, come pensa Pursewarden, la verità è che «gli dèi sono uomini e gli uomini sono dèi» e entrambi si intromettono nelle rispettive vite, generando quella confusione dello spazio e del tempo che offusca la mente, induce alla solitudine e alla paura? Assediati nelle loro case dalla tenebra africana, dalle urla del bey impotente che bastona le sue donne, dai coiti dei nubiani che fanno tremare le pareti come le palme; accerchiati dal buio, rotto dalle fiaccole e dalle lampade a acetilene, in cui si muovono stregoni e circoncisori, eunuchi e tenutari di bordelli infantili, negre bronzee e sudanesi dalle gengive violette, egiziane dalle mammelle dure come mele, circasse dai capelli biondi e occhi blu; soffocati dagli odori del sudore e delle spezie, dell' orina e del gelsomino appassito, gli alessandrini occidentali scrutano in quella foresta buia della mente, nel buio di quella vecchia carne insaziata di desideri, ma non trovano una risposta al mistero dell' amore. Neppure nelle pagine finali del romanzo riusciranno a capire perché, amando tanto, hanno sofferto tanto. Neppure quando verrà il momento di una illusoria pacificazione e, nell' isoletta di granito di fronte alla costa, Darley e Clea nuoteranno nudi e si colmeranno di baci. Per una futile tragedia - il colpo involontario del fucile subacqueo - Clea rischierà la morte e perderà la mano. E tutti se ne andranno, per sempre. E la città meravigliosa verrà inghiottita nella memoria, col suo mistero.

 * * * L' autore e l' opera Una vita per l' Oriente Lawrence Durrell (nato in India nel 1912, morto in Francia nel 1990) trascorse gli anni della seconda guerra mondiale in Medio Oriente come addetto al servizio informazioni britannico e, in seguito, a Belgrado e a Cipro. 
La sua opera maggiore, «Il Quartetto di Alessandria» (quattro romanzi ambientati in Egitto) è pubblicata da Einaudi.

sabato 23 marzo 2013

'o sciò

1:20:45

Parafrasi

Era una spedizione di trecento uomini,
giovani, forti e sono morti.
Era un mattino e  la contadina protagonista della poesia raccoglieva spighe di frumento, quando vide una barca in mare: era un piroscafo a vapore e alzava la bandiera tricolore italiana. La barca si era fermata per poco all’isola di Ponza e poi  era giunta a Sapri; erano scesi a terra uomini con le armi, ma non vennero per saccheggiare né per derubare la popolazione.

Era una spedizione di trecento uomini,
giovani, forti e sono morti.

Non vennero per saccheggiare e né per derubare, ma si inchinarono a terra di fronte all’Italia. La contadina guardò in faccia ogni uomo e li vide tutti emozionati. I soldati fecero credere alla popolazione che gli uomini erano briganti venuti per uccidere, ma invece non rubarono nemmeno del pane; lanciarono grida dicendo che erano lì per il Paese.

Era una spedizione di trecento uomini,
giovani, forti e sono morti.

Il giovane Carlo Pisacane dagli occhi azzurri e dai capelli biondi camminava di fronte a loro. La contadina si fece coraggio e afferrando il capitano gli chiese dove andava, egli rispose che era pronto a morire per la patria. La contadina si sentì tremare il cuore, non riuscì a dirgli: "il Signore vi aiuti".

Era una spedizione di trecento uomini,
giovani,forti e sono morti.

Quel giorno la contadina non raccolse spighe, ma si mise in marcia con loro: si scontrarono per due volte; si scontrarono per due volte e vinsero i due primi scontri. La battaglia durò fino a certosa di Padula, lì si sentirono trombe e tamburi, tra il fumo e gli spari arrivarono altri mille uomini.

Era una spedizione di trecento uomini,
giovani,forti e sono morti.

Erano trecento e non vollero fuggire, morirono solo con le armi e si vide il sangue dei patrioti scorrere. La contadina pregò per loro che combattevano, ma ad un tratto svenne perché non vide più fra loro Carlo Pisacane.

Commento | Valeri Matias - Chiara Bravin - Miriana Pelusi
Questa poesia è stata scritta verso la fine del 1857, è molto bella perché parla di una spigolatrice che vede la spedizione di Carlo Pisacane; inizialmente sembrava una spedizione di navi arrivate per derubare e saccheggiare.
La spedizione era di trecento uomini morti tragicamente per la liberazione dell’intera Nazione.

 


Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Me ne andavo un mattino a spigolare
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore,
e alzava una bandiera tricolore.
All’isola di Ponza si è fermata,
è stata un poco e poi si è ritornata;
s’è ritornata ed è venuta a terra;
sceser con l’armi, e noi non fecer guerra.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra,
ma s’inchinaron per baciar la terra.
Ad uno ad uno li guardai nel viso:
tutti avevano una lacrima e un sorriso.
Li disser ladri usciti dalle tane:
ma non portaron via nemmeno un pane;
e li sentii mandare un solo grido:
Siam venuti a morir pel nostro lido.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Con gli occhi azzurri e coi capelli d’oro
un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per la mano,
gli chiesi: – dove vai, bel capitano? -
Guardommi e mi rispose: – O mia sorella,
vado a morir per la mia patria bella. -
Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: – V’aiuti ‘l Signore! -

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Quel giorno mi scordai di spigolare,
e dietro a loro mi misi ad andare:
due volte si scontraron con li gendarmi,
e l’una e l’altra li spogliar dell’armi.
Ma quando fur della Certosa ai muri,
s’udiron a suonar trombe e tamburi,
e tra ‘l fumo e gli spari e le scintille
piombaron loro addosso più di mille.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

Eran trecento non voller fuggire,
parean tremila e vollero morire;
ma vollero morir col ferro in mano,
e avanti a lor correa sangue il piano;
fun che pugnar vid’io per lor pregai,
ma un tratto venni men, né più guardai;
io non vedeva più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro.

Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

la mia compagna, ti prendo per mano




Quando ci penso

Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l’umano
la mia compagna, ti prendo per mano. 

 Edoardo Sanguineti

crediamo di vedere

In Goya's greatest scenes we seem to see Nelle più belle scene di Goya...
Nelle più belle scene di Goya crediamo di vedere
la gente del mondo
proprio nell’istante in cui
ottennero per la prima volta il titolo di
“umanità sofferente”
Si contorcono sulla pagina
con autentico furore
di avversità
Ammucchiati
gemendo con bambini e baionette
sotto i cieli di cemento
in un paesaggio astratto di alberi seccati
statue ricurve rostri e ali di pipistrello
forche scivolose
cadaveri e galli carnivori
e tutti gli ultimi mostri urlanti
della “immaginazione del disastro”
sono così maledettamente veri
è come se esistessero ancora
Esistono infatti
Solo il paesaggio è cambiato
Siamo ancora sparsi lungo le strade
infestate da legionari
falsi mulini a vento e galli dementi
Siamo la stessa gente
soltanto più lontana da casa
su autostrade larghe cinquanta corsie
su un continente d’asfalto
scandito da invitanti cartelli pubblicitari
che illustrano imbecilli illusioni di felicità
La scena mostra meno carrette di tortura
ma più cittadini menomati
in macchine colorate
con strane targhe
e motori
che divorano l’America


giovedì 14 marzo 2013

il significato implicito

undercurrent - a subdued emotional quality underlying an utterance; implicit meaning  corrente sotterranea - una qualità emotiva sommessa alla base di un atto di parola, il significato implicito..

1975, Marino Moretti

«Come fioriva la parola «triste» / nei versi giovanili, ed ero allegro! / Ora ben so ch’io fui come poeta, / e più ancor nella vita, / scarsamente sincero; / e la parola che più spesso insiste / nella pagina stanca, anzi sgradita, / fa sì ch’io scioccamente la ripeta, / ma non potrei più dire «sono triste» / se lo sono davvero». [1975, Marino Moretti a novantanni]
Che è una bella 
lezione di letteratura.. (Alfredo Giuliani, Le droghe di Marsiglia, Adelphi)

commento per decidere |ching| che è una bella lezione di vita

martedì 12 marzo 2013

L’inverarsi dell’ispirazione

[::] il titolo del lavoro, in forma di similitudine, evoca ciò che resta nella scrittura dopo l’inverarsi dell’ispirazione in uno stile possibile, richiamando le parole “alate” di P.B. Shelley in Difesa della Poesia (1821): “E’ come se una natura più divina penetrasse nella nostra, ma i suoi passi sono come quelli del vento sul mare, che la bonaccia successiva cancella e di cui rimangono solo tracce, come sulla rena ondulata sul fondo.”
   Il libro si articola in 5 Sezioni precedute da una ouverture dal titolo autoriflessivo – tautologico “In principio”, titolo che rivela un’intenzione di realizzarsi “poeticamente” in una gnosi sensuale, ovvero di procedere per immagini che dominino e informino di sé la pratica compositiva.::]

martedì 5 marzo 2013

Tutti per Elio, Elio per tutti

Nell’anniversario della scomparsa di Elio Pagliarani, in occasione dell’uscita del Dossier Elio Pagliarani a cura di Walter Pedullà del «Caffè illustrato», dell’omaggio Ma dobbiamo continuare. 73 per Elio Pagliarani a un anno dalla morte a cura di Andrea Cortellessa, e della nuova collana poetica i domani di Nino Aragno Editore
i domani: Tutti per Elio, Elio per tutti
a cura di ESCargot, scrivere con lentezza
mercoledì 6 marzo alle ore 18:00
Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte
presso la Sala della Crociera
in via del Collegio Romano, 27 – Roma

interverranno
Cetta Petrollo, Gian Maria Annovi, Luigi Ballerini, Francesca Bernardini, Maria Grazia Calandrone, Marco Caporali, Simone Carella, Laura Cingolani, Orazio Converso, Andrea Cortellessa, Elisa Davoglio, Carla De Bellis, Raffaella D’Elia, Tommaso Di Francesco, Paolo Febbraro,Giulio Ferroni, Francesca Fiorletta, Angelo Guglielmi, Emilio Isgrò, Massimiliano Manganelli, Maria Grazia Menechella, Vincenzo Ostuni, Tommaso Ottonieri, Marco Palladini, Elio Pecora, Walter Pedullà, Laura Pugno, Lidia Riviello, Patrick Rumble, Gabriella Sica,Alberto Toni, Sara Ventroni e tanti altri

sabato 2 marzo 2013

la ragazza si mostra attraverso la voce del narratore

 Nel dialogo, nella conversazione con sé medesimo, il ragazzo stringe le mani, da solo, nel buio e si graffia perché è talmente forte il sentimento che lo lega a questa fanciulla intravista che non può che tremare e mormorare: “O love! O love!”, che sembra quasi una cosa banalissima: “Amore! Amore!” Dopo questa c’è un’altra epifania, descrittiva, in cui la ragazza si mostra attraverso la voce del narratore: “While she spoke she turned a silver bracelet round and round her wrist” [mentre parlava con una specie di tic muoveva un braccialetto d’argento]. Il giovanotto pensa che voglia un regalo, ma sbaglia, e si renderà conto amaramente che la ragazza di lui non si interessa affatto, non vuole nessun regalo,..


a chi intraprende il viaggio iniziatico

intro_inizierei il discorso dal nono episodio dell’Ulisse “Scilla e Cariddi”, là dove Stephen Dedalus, uno dei protagonisti del macrotesto di tutta l’opera joyciana, e che significativamente si chiama appunto Dedalus, ovvero l’artefice che costruì un labirinto, prendendo in considerazione il testo di Shakespeare afferma: “A man of genius makes no mistakes. His errors are volitional and are the portals of discovery” [Un uomo di genio non fa errori. I suoi sono errori voluti e sono portali di scoperta]. È molto interessante il contrappunto tra “mistakes”, che sono veri errori, e “errors”, che sono più segno di erranza, di movimento, di nomadismo.

{[questo segreto non è un segreto ineffabile (IdDocumento=177)] ma è la difficoltà}  In un famoso saggio di John Ruskin del 1864 sull’arte della lettura, Of Kings’ Treasuries [in Sesa-me and Lilies], poi tradotto nel 1906 da Proust, l’autore sottolinea come la lettura deve essere un nutrimento spirituale, non la sostituzione del nutrimento spirituale, ma una parte di esso e come i libri che veramente nutrono sono i libri che durano per sempre, i libri che hanno un segreto, e non i libri del momento, che sono soprattutto di comunicazione diretta. Naturalmente questo segreto non è un segreto ineffabile, ma è la difficoltà che essi oppongono allo sguardo del lettore, perché il lettore trovi uno spazio potenziale di pensiero all’interno del testo, pensiero che riesca a sposare la forma col contenuto e che permetta appunto di nutrire lo stesso lettore. Proust, traducendo Ruskin, dice che l’oro che si trova nel testo non è l’oro che ha messo lo scrittore, ma il lettore; cioè il lettore che prende possesso di questo spazio potenziale, commenta Proust, è colui che poi troverà l’oro, il filone aureo in sé medesimo. In Joyce questo spazio potenziale riguarda un linguaggio segreto, tanto è vero che i suoi quattro libri finiscono in una “non lingua” che è quella appunto del Finnegans Wake, che è come una lingua aurorale, la lingua prima che sia codificata, quella che tutti i poeti conoscono, il mormorio della musa. In Finnegans Wake ritroveremo la parola quasi lallazione, quasi suono, che ancora non prende forma e che non si disintegra, ma che si orchestra e che diventa sempre più complessa e più ricca nel tempo e che attraverso le indagini critiche, invece di risolvere il proprio segreto, concede sempre uno spazio nuovo a chi intraprende il viaggio iniziatico per mettersi in rapporto passionale, ma anche critico, colla propria capacità simbolizzante, con la propria lingua, ma con anche quella di altri popoli di altri paesi. In questo senso Joyce è lo scrittore più cosmopolita.

Videor e l'editor

il 5% di realtà e al resto ci penso io [Franco Cordero] 2006
Trovai che quanto avevo desiderato, tutta la vita, non era vivere
- se si chiama vivere ciò che fanno gli altri -
ma esprimermi. ... [Henry Miller, Tropico del Capricorno]



La trasparenza democratica della rete, leggendo Baudrillard e, leggendo domenica il giornale quotidiano,  "rendere tutto pubblico e trasparente frena la costruzione democratica: non fa emergere contrasti interni al gruppo o proposte strane che suggeriscano delle innovazioni" ci ricorda di ricorrere al nostro lavoro tra arte e comunicazione, tra scrittura e televisione.

Con Videor 1988 ci misuravamo proprio con l'inevitabile dissidio tra il video e la tele visione da una parte e la scrittura e la poesia dall'altra, mettendole insieme per dare alla tecnologia  elettronica una chance rispetto all'antica tecnologia della parola. Ricorrendo a quella particolare attitudine all'oralità di certi poeti e di certi versi Vito Riviello Elio Pagliarani Giovanna Bemporad Corrado Costa Amelia Rosselli Adriano Spatola Edoardo Sanguineti Giorgio Celli Alfredo Giuliani (e Giorgio Caproni Beppe Salvia Teresa Campi Guido Galeno Toti Scialoja Iolanda Insana Dario Bellezza tra gli altri, tanti, che animavano i readings almeno degli anni ottanta) facevamo direttamente televisione senza però esplorare più di tanto le possibilità del mezzo, concentrandoci piuttosto sulle personalità degli scrittori disponibili.



all'indomani della stagione di letture pubbliche di poesia con l'intento di raccogliere intorno ai suoi promotori le personalità poetiche che, ad alti livelli di stile, riportino con le loro performances la preziosa opacità della scrittura nel mondo della comunicazione e della trasparenza - l'immagine della voce in televisione.[videor)


L'assunto era che non si può fare poesia o scrittura con la televisione (con il video insomma con finalità comunicative). Che se c'era un linguaggio una scrittura nel video e nella televisione questi interessavano il confronto con il cinema e la radio, non noi. Volevamo  mettere l'allarme sulla trasparenza della trasmissione televisiva nei fatti e nelle attività umane, ai quali venisse sottratto da questa televisione l'inviluppo di mistero e l'enigmaticità stessa dell'esistenza - preservata nella scrittura dei versi e nella sostanza poetica ai quali affidavamo intero il messaggio comunicativo.





Con ciò fornire la distanza giusta dell'ascolto - sfruttando un mezzo pervasivo come la tv - sarebbe stata in quelle condizioni una battaglia persa anzitempo, ma bastò disinteressarsi completamente della tecnologia in attesa di tempi migliori e andare a incominciare.

Vediamo allora oggi che la matematica ci soccorre nella tecnologia teatrale che ci serviva e ci serve per stare accanto ai poeti senza l'inciampo fastidioso di sciocchi medialisti. Allo sdoppiamento creato dall'uso della registrazione audio,  il microfono, si può rimediare con una realtà aumentata naturalmenteper esempio con la sintesi del campo sonoro, eh [Delft, Wave Field Synthesis], che non sto qui a dire, e per la videovisione con l'uso pensato dei Google Glass del poeta che agisce a quel punto. Il primo, cioè la sintesi del campo sonoro, per saltare l'odiosa micro(pro)fonazione negli studi televisivi eterodiretti e i secondi per giocare fuor di regie la soggettività della visione di poeti e partners del reading.


Niente regia, dunque, o direzione d'orchestra [vedi], in ogni caso.


anni zero
o anche un secolo dopo, un millenio dopo, un mondo internet dopo.


  1. _alessia mi dice di avermi recuperato alla parola (e all'arte) ricoperto di web, occultato dalla prosopopea tecnologica, buttato lì tra le "materie" di informatica: tutti i torti non li ha, of course.  
  2. _il web e l'editing sono vissuti come sinecura dell'informatico, o peggio del riciclato di varia estrazione (giornalista senza casa, grafico di grandi ambizioni ma di scarso costrutto, politicante, maghetto dell'advetising de noandri, illuminato d'er movimiento) che trova nella "rete" multimediale lo spazio che altrove gli è negato.  
  3. _per l'editor che ero, invece, la rete senza aggettivi è l'emittente degli emittenti (cfr. barthes a proposito) che altrove lo scenario politico italiano asfittico e provinciale mi negava.  
  4. _portatore di una cultura pop il mio editor anelava ad una lingua largamente condivisa ma non per questo meno ardua e ambiziosa.  
  5. _il mio stesso atteggiamento personalistico che questa discussione ben interpreta è frutto di un'adesione semplice e diretta alla pratica della scrittura che in età dorata ebbi ad intraprendere...

Mondoailati Community Zero
 (Videor diretta da Elio Pagliarani, editor Orazio Converso)

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