sabato 30 giugno 2012

corrispettivo digitale della persona fisica

Google potrebbe porre in essere una piattaforma per i commenti da mettere a disposizione di terze parti interessate ad adottare un sistema di questo tipo (un semplice codice da copiare sul proprio sito e il servizio è attivo). Il baricentro dell’intero progetto è quello dell’identità, da considerarsi come corrispettivo digitale della persona fisica e come fonte di contenuti da cui attingere per arricchire profili, account, opzioni e servizi. Circondando l’identità dei suoi contatti e dei suoi contenuti, infatti, consente all’utente di avere a disposizione..
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mercoledì 27 giugno 2012

BELLI e PORTA


 Leopardi è un'eccezione nella lirica italiana romantica, che è prevalentemente realistica, poiché nel Romanticismo poetico inglese e tedesco il Romanticismo italiano coglie solo il mito dell'eroe ribelle, ma non il simbolismo, infatti i generi utilizzati (come le ballate e le novelle) non sono molto lirici. Volendo gli italiani aprirsi ad una politica nuova (realistica e collettiva) si trovano di fronte al problema del [...]

venerdì 22 giugno 2012

Se Pechino fosse la più felice città di Vito Riviello

Se Pechino fosse la più felice città di Vito Riviello
by Lidia Riviello on Monday, June 18, 2012 at 5:46pm ·


"Se Pechino fosse la più felice città,
se voi ci amate
la testa d'un bambino sarebbe
il vero mondo dell'arancia
e non un sublimato crogiolo
di gridi d'anatre.
E Stoccolma sarebbe una città all'aperto
come un circo
e non una negletta sperimentale abusiva
patria sotterranea
dove gli incrociatori camminano sui marciapiedi
ostruendo e impedendo
la proclamazione d'un quadro.
I bambini vivono sulle scale
e come gli insetti
scavano un albero sui generis
sognando una vita che messa in pratica
farebbe di Pechino la città più gialla di felicità
in cui lo studio sarebbe mangiare il pane
e fare versi un tiro al bersaglio delle Borse,
in cui far mostre è piantare un albero di mele
in mezzo alle pantere a pois.
Se tu ci dessi una mano
nel tuo stesso interesse
rinunziando alla scala su cui ti'innalzi
per vederti impaurito da rumori estranei
alla velocità degli anni tuoi,
sarebbe Parigi il pomeriggio più bello
dopo che hai dormito
e tutta l'aria finisce in un colore tornito,
in uno sciame di globuli realizzatori"

 
Vito Riviello, potenza 1933, roma 2009

[Alert] In scia

News1 nuovo risultato relativo a elio pagliarani
Notte Rosa, dal 6 luglio sulla riviera più di 300 eventi
AltaRimini
Domenica sera evento unico al teatro degli Atti di Rimini con l'omaggio di Teho Tehardo e Sonia Bergamasco a Elio Pagliarani ne 'La ragazza Carla'.

Blogs1 nuovo risultato relativo a elio pagliarani
Una storia italiana | Millepagine
di v.castelnuovo
Abbiamo apprezzato un intervento di Pedullà in una recente serata dedicata al poeta Elio Pagliarani (organizzata da Simone Carella e Andrea Cortellessa presso il Colosseo Nuovo Teatro) e ritroviamo lo stesso approccio in queste pagine, ...
millepagine

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Elio Pagliarani | Millepagine
Abbiamo apprezzato un intervento di Pedullà in una recente serata dedicata al poeta Elio Pagliarani (organizzata da Simone Carella e Andrea Cortellessa ...
millepagine.blog.rai.it/tag/elio-pagliarani/
Domenica 8 luglio: omaggio di Rimini a Elio Pagliarani, il poeta di ...
ASSALTI AL CUORE #8 - RIMINI, LA LUNA E TU Domenica 8 luglio 2012. Rimini , Teatro degli Atti. Ore 18,15. SONIA BERGAMASCO, TEHO TEARDO, ...
www.cristella.it/.../domenica-8-luglio-omaggio-di-rimini-a-eli...
ALDO NOVE A LA PUNTA DELLA LINGUA PER ELIO PAGLIARANI ...
ALDO NOVE A LA PUNTA DELLA LINGUA PER ELIO PAGLIARANI GIOV 21/6 CON PROIEZIONI E TESTIMONIANZE DI AMICI E SODALI AL TRAMONTO ...
www.notiziecontrovento.it/?p=4739
La Punta della Lingua, tra il contemporaneo e il futuro della poesia ...
Ultimo appuntamento di stasera, anche questo alla Casa delle culture, sarà l' omaggio a ...
www.whymarche.com/.../la-punta-della-lingua-tra-il-contemp...
Aldo Nove a «La Punta della lingua» | Il Griot Magazine
Giovedì 21 giugno il poeta parteciperà al festival letterario per l'omaggio a Elio Pagliarani. Spazio anche alla poesia marchigiana con Maria Grazia Maiorino e ...
www.ilgriot.it/2012-06.../aldo-nove-a-«la-punta-della-lingua»/

sabato 16 giugno 2012

ELIO PECORA e la sua chitarra


Giornata Europea della Musica
CONCERTO DEI VECCHI CANTORI DEL BORGHETTO MEMORIE IN SOFFITTA
memorie di musica popolare

CON LA PARTECIPAZIONE STRAORDINARIA DI ELIO PECORA e la sua chitarra
Libreria/via Baccina 79 00184 Roma tel. o6 69940850 fax 0645426832
giovedì 21 giugno alle ore 20.30

giovedì 14 giugno 2012

Minima

 .. Per ragioni sia tematiche che tecniche, Pagliarani potrebbe essere definito "un populista absolument moderne". La sua lingua non è di origine letteraria, è presa di peso dalla realtà e dal parlato e poi "messa in forma" secondo schemi più ritmici che metrici, sostenuti da un violento istinto vocale e da una vocazione "performativa" ben nota a chiunque abbia ascoltato Pagliarani leggere i suoi testi. Nessun altro poeta italiano, almeno nell'ultimo mezzo secolo, sembrava come lui aver scritto quei versi perché fossero letti a voce alta, sul palco. Come sue fonti sono stati fatti giustamente, anzitutto, i nomi di Majakovskij e Brecht, poeti teatrali, percussivi, materialisti. .. © riproduzione riservata



Poesia nostalgica di Ernesto Ragazzoni

Poesia nostalgica delle locomotive che vogliono andare al pascolo
ovverosia: delle oscure cause di tanti disastri ferroviari


Dal muro in fondo al prato, in mezzo al fieno
una forma si muove e si distacca,
ed è una vacca
che avanza il muso per guardare il treno,
il diretto che passa all’11 ore;
perché (sappia il lettore
di questa commovente poësia),
in fondo al prato c’è la ferrovia.


La vacca guarda: uno dei gran diletti
dei bravi ruminanti,
(e possono osservarlo tutti quanti),
è di fermarsi in estasi davanti
ai treni in corsa, specie se diretti.
Ma un po’ per uno: se ci sono vacche
che fan l’occhietto alle locomotive,
(anime sensitive,
e non automi o rapide baracche)
ci sono pur delle locomotive,
che guardano le vacche.


Le guardano coi grandi occhi di vetro
dei loro due fanali,
ed è con infinita nostalgia
ch’esse si lascian dietro
oltre i fuggenti pali
del telegrafo, a vol, la prateria,
i campi, dove ci si può sdraiare
tanto tranquillamente, e contemplare
— lungi obliando le stazioni fosche —
il vol delle farfalle e delle mosche!
«Oh! — sospiran le macchine (e nel mentre,
con il fuoco nel ventre,
tirano via rotando e strepitando)
quando — ripeton — quando
potremo essere libere anche noi;
goderci la cuccagna
di vivere in campagna,
tra le famiglie placide de’ buoi?
Oh, potere campar senza gran stento
di un po’ di fieno e un po’ di sentimento
come certi poeti!
Poter far nulla, all’ombra dei querceti!
Non più mangiar carbone e sputar fumo,
per l’uso ed il consumo
di gnomi irrequïeti
sorti dall’umo, e spinti verso l’umo.
Oh gioia, starsi con le ruote all’aria
in grembo all’erbe tenere,
vicino a qualche fonte solitaria
che piglia il fresco sotto il capelvenere!
«Ma quando s’è locomotive occorre
— fatalità! — essere sempre altrove,
sempre lasciarsi imporre
la volontà tiranna degli orari
ferroviarii,
compreso quando piove
e fanno i peggio tempi de’ lunarii!
Bisogna sempre aver la testa a segno,
anzi ai segnali,
e prendersi l’impegno
d’essere puntüali,
perché c’è sempre, in questo od in quel posto,
da non mancare una coïncidenza.
Se non si può... pazienza!
Ma intanto, avanti, avanti ad ogni costo!».
E le locomotive vanno, vanno
senza riposo; eppure,
nelle latebre oscure
de’ lor cilindri a triplice espansione,
conservan sempre una speranza, ed hanno
sempre un’illusïone.
Che proprio mai debba spuntare il sole
del giorno avventurato
che potran rotolarsi in un bel prato,
vigilate da buoni contadini,
a fare capriole
insieme ad una lor giovine prole
di saltellanti locomotivini?

-nota dell'autore-

Così, fantasticando
questi lor sogni tàngheri
avvien che, a quando a quando,
qualche macchina sia
presa da acuti accessi di follia
ed è allora che va fuori dei gangheri,
e, quello che è peggio, dei binarii,
causando così de’ gravissimi e spiacevolissimi
accidenti ferroviarii.

[Scuola Pagliarani 2012] Ode a Ernesto Ragazzoni

Ernesto Ragazzoni
a cura di Lorenzo Mondohttp://www.novara.com/letteratura/bibliografia900/ragazzoni.htm

Ragazzoni,..nelle redazioni di giornale resta qualche eco della sua leggenda: la fulmineità epigrammatica, la comica imitazione di personaggi famosi, le bizzarie del comportamento, le bevute... Forse si mandano ancora a memoria i pochi versi in cui resta impresso l'onesto blasone di un mestiere che ogni giorno sembra concludersi e ricominciare: «È finita. Il giornale è stampato - la rotativa s'affretta, - me ne vado col bavero alzato - dietro il fumo della sigaretta». Colpa del suo animo randagio, del talento dissipatorio, dell'incapacità di prendersi fino in fondo sul serio al cospetto di una realtà così alta come la poesia. Solo in grazia del «libertino» Cajumi possediamo un libro che raccoglie i suoi versi, lasciati inediti o sparsi su fogli dimenticati.
La fiducia piena nella poesia, l'ardimento di guardarla negli occhi, li troviamo nel Ragazzoni della giovinezza. Nato a Orta il 9 gennaio 1870, cresce a Novara dove il padre, possidente di terre, ufficiale dell'esercito, lo indirizza agli studi di ragioneria. Ma a soli 21 anni dà fuori una raccolta, Ombra, che porta l'impronta dominante della poesia carducciana (in altre due poesie, 8 maggio e I ribelli, che usciranno su fogli locali all'indomani delle repressioni del 1898, manifesta le sue simpatie per le vittime, per il socialismo). Ma è più importante il libro da lui pubblicato nel 1896, una scelta di notevolissime traduzioni da Poe in cui si avverte una precoce attenzione ai problemi dello stile e una fantasia metrica e lessicale di tutto rispetto. Nel 1901 diventa direttore della «Gazzetta di Novara», un bisettimanale conservatore e monarchico.
L'esperienza dura pochi mesi. Un suo editoriale, Il paese della muffa, veemente tirata contro la burocrazia e più in generale contro la grettezza piccoloborghese, scatena un putiferio. Ragazzoni trova un posto alla «Stampa» di Frassati, brucia le tappe della carriera. Nel 1904 è corrispondente da Parigi dove rimane, eccettuata una breve parentesi londinese, fino al 1918 quando approda al «Resto del Carlino" di Bologna e infine, nel 1919, al «Tempo» di Roma. «Rosicato» dalla cirrosi, come ebbe a confidare nel Mio funerale, muore a Torino il 5 gennaio 1920. Del superstite amore per la poesia aveva lasciato qualche traccia sul settimanale umoristico «Numero». Per il resto, bisogna cercarlo negli articoli dei quotidiani. La rubrica «La "film" parigina», con resoconti parodistici di società e di costume. Le interviste e i servizi da giornalista culturale, condotti spesso sul filo del paradosso, con un originale taglio stilistico e lampi espressionistici. Sul finire, articoli in cui alla scoperta dell'aria di Roma si affianca il ripiegamento nostalgico sulla terra nativa, sulle cose che durano (la natura, i costumi e i sentimenti schietti): pagine in cui la consueta propensione umoristica non esclude l'abbandono lirico, l'affioramento autobiografico.
Il corpo di poesie pubblicato da Cajumi non fornisce appoggio di date e sistemazione coerente. Soltanto una lettura interna permette di tracciare un verosimile percorso. Per buona parte si muovono in una prossimità gozzaniana, non senza imprestiti dall'area scapigliata e dannunziana. Ne sono indizio la disposizione sentimentale riduttiva che già insiste sul pedale dell'ironia, nell'azzardo beffardo delle rime, nella propensione a sliricizzare.
E ancora, l'irrisione della sogneria consolatoria e filistea dei Bevitori di stelle, la suggestione dell'«isola non trovata», la malinconia delle «rose sfogliate», la contaminazione tra sacro e profano nel vagheggiamento amoroso... Tutte cose espresse con sicura eleganza. Ma il Ragazzoni più vero è quello che nel capriccioso indugio sul suono delle parole, nella rapida e segmentata scansione del verso, nel gusto del ghiribizzo e dell'iperbole si pone ai limiti del surreale. Il soggiorno parigino gli offrirà l'occasione di scoprire se stesso, di individuare in una zona del simbolismo francese piegato verso lo humour e la parodia i suoi modi più congeniali. L'incontro decisivo è quello con Georges Fourest.
Alla Negresse blonde, uscita nel 1909, si ispirano, fino a ricalcarle, alcune delle più note ballate di Ragazzoni. Il fantasista Fourest, che definiva se stesso «fou d'epithète rare et de rythme et de rime - d'allitteration, de consonne d'appui», doveva far vibrare le sue corde. Ma anche quello che veniva recitato nelle allegre congreghe dei bistrot, tra il fumo del tabacco e le esalazioni dell'alcol. Nascono di qui La laude dei pacifici lapponi e dell'olio di merluzzo, De Africa, Il teorema di Pitagora, Elegia del Verme solitario, Il mio funerale. Una poesia omaggiata galantemente nella sua squisitezza linguistica e fonica, e nello stesso tempo gettata al vento come un colorato coriandolo. 
Siamo al Ragazzoni più originale, anche se ha bisogno di riscaldarsi ancora una volta all'universo del libro, a farsi partecipe di una poetica del «plagio» che ha i suoi antesignani in D'Annunzio e Gozzano. I vocaboli strani (famoso il leone «ruggibondo e divorier»), le rime inusuali, le trovate bislacche non si risolvono tuttavia in se stesse, in puro gioco verbale, ma rivelano, attraverso la resa mimetica o l'inatteso rovesciamento, la loro natura eversiva contro le convenzioni letterarie e sociali. 

Lo spirito anarchico del ragazzo del '98 non si è affievolito e affiora a momenti in modo esplicito. Come nell'aprostrofe al Senegalese venuto a morire sui campi della Marna e della Somme: «L'Europa qui ti prodiga - (giù la barbara zagaglia!) - la civile sua mitraglia - che già tanto suol nutrì». È il Ragazzoni che alla tristizia dei tempi, agli innumerevoli segni di catastrofe che si raccolgono intorno alla Grande Guerra, oppone ogni volta, a sigillare le sue strofe, le piccole, indifese e ormai assurde certezze dell'infanzia scolastica: «Ma il quadrato costrutto sovra l'ipotenusa - è la somma di quelli fatti sui due cateti». Fino al Miofunerale, dove le venature di tenerezza non cedono all'autocommiserazione, tanto meno alla palinodia. La sregolatezza, l'eccentricità, la bizzarria saputa del fool vengono rivendicate, con vividi fuochi d'artificio, anche in cospetto della morte. Sono questi, aldilà dei versi d'occasione, dei divertimenti «scandalosi» (L’apoteosi dei culi d'Orta), gli acquisti sicuri di quello che - rammentava Franco Antonicelli - resta il «solitario, forse unico «chansonnier» della nostra letteratura». 


 Bibliografia delle opere Ombra, Novara, Tipografia Operaia, 1891, Edgar Allan Poe traduzioni di poesie e prose in collaborazione con F. Garrone, Torino, Roux e Frassati, 1896, Poesie, a cura e con introduzione di A. Cajumi, Torino, Chiantore, 1927 (contiene anche le poesie tradotte da Poe), nuova edizione accresciuta Milano, Martello, 1956, Poesie e prose, a cura e con introduzione di L. Mondo, Milano, Scheiwiller, 1978, Poesie, a cura di P. Mauri, Milano, Mondadori, 1978, Le mie invisibilissime pagine, articoli del quotidiano «Il Tempo», a cura di A. Bujatti, Palermo, Sellerio, 1993; Buchi nella sabbia e pagine invisibili. Poesie e prose, a cura di R. Martinoni, introduzione di S. Vassalli, Torino, Einaudi, 2000.;



  Ben tappati dentro i poveri
ma fidati lor ricoveri,
mentre lento sui tizzoni
cuoce il lor desinaruzzo
i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.


Fuori, il vento piglia a schiaffi
quattro o cinque abeti squallidi:
gli orsi bianchi sono pallidi
pel gran freddo e si dan graffi
l'un con l'altro per distrarsi...
Oh! bisogna ricordarsi
che omai nevica da mesi;
fiumi e rivi presi al laccio
dell'inverno son di ghiaccio
(e che ghiaccio! perché il ghiaccio
è assai freddo in quei paesi);
ma che importa lor? ghiottoni
dallo stomaco di struzzo
i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.


E son là, raccolti, stretti,
padre, madre, zii, bambini
(battezziamoli lappini
i lapponi pargoletti?),
e poi c'è la nonna, il nonno,
qualche amico dei vicini;
ciascun preso un po' dal sonno
perché ha l'epa troppo piena
già di grasso di balena;
pure a nuove imbandigioni
ogni dente torna aguzzo,
e i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.


Beatissimi! fra poco
tutti quanti russeranno
in catasta a torno al fuoco,
poi doman si leveranno,
torneranno alla stess'opra,
mangeranno e riberranno
il buon olio di cui sopra,
e cosí per tutto l'anno,
sempre..... fin che moriranno.


Cosí svolgesi la loro
vita, piana e senza scosse,
senza mai quell'ansia d'oro
che noi muta in pelli-rosse;
senza il fiel, senza la bile
necessari all'uom civile.....
Ho da dirvelo? una smania
prepotente mi dilania,
ed invan da piú stagioni
in me dentro la rintuzzo:.....
vo in Lapponia tra i lapponi
a ber l'olio di merluzzo!

Quasi sfidandosi

Commento al tuo video: [il comico in poesia] alfabeto apocalittico Z
Quasi sfidandosi. Grandissimo Edo!

sabato 9 giugno 2012

prova così , poi mi dici [bitte wann - bitte wo? -]



Se ancora tu avessi vaghezza
(ma quando, ma dove),
se ancor t'incatenano i baci
(amour - bel oiseau),
se ancora con fruscio d'ali
sopra le Ande ti libri
trasmutandoti in due mari
senza saper chi tu sia,
se ancora hanno voce gli strazi,
lacrime per bel oiseau
ti precipitano e frantumano -
ma quando - ma dove? –

Wenn du noch Sehnsucht hättest

(bitte wann, bitte wo)
dich noch mit Küssen kettest
(amour - bel oiseau),
wenn du noch flügelrauschend
über den Anden schwebst
dich in zwei Meere tauschend
ahnungslos, wen du lebst,
wenn noch die Qualen sprechen,
Tränen durch bel oiseau
dich stürzen und zerbrechen -
bitte wann - bitte wo? -

in attesa della nascita

Una poesia senza lettore in attesa della nascita del testo, dove sarà tessuta, scomparendo in un disegno più profondo.

L'origine della poesia è l'eco, ma, qui ed ora, sono l'eco di una bocca chiusa, che non è ancora pronunciata.
Per il poeta non c'è nessuna biografia - a tutela della sua immagine. La società ha fissato una soglia, un limite che serve solo ad entrare e dal quale il poeta vuole solo uscire. Non si vuole spostare la parola oltre il limite del presente. Non si vuole futuro per dimenticare ciò che volevamo in passato. Corrado Costa, 1986


performed 1988 (january 19) videor

L'origine della poesia è l'eco, ma, qui ed ora, sono l'eco di una bocca chiusa, che non è ancora pronunciata. [ Corrado Costa, 1986, al suo editore ]

Lettera all'editore

Ma era già irreale il presupposto di andare alla cerca dell’oggetto testuale reale, che si sarebbe formato dopo o avrebbe dovuto manifestarsi dopo. Come un bersaglio nascosto che fa volare la freccia alle spalle dell'arciere. Il mio lavoro di poeta è stato questo: sollecitare, anticipare, precorrere un’improponibile poesia non mia, convincere che "x" nascerà e che giustificherà il mio testo. 1986, Corrado Costa

Ssstt ! entra Spatola


Adriano Spatola per Videor in scena

The Complete Films Corrado Costa

 | 0 risultati per  The Complete Films Corrado Costa | Salva la ricerca |
Al Teatro Ghione serata d'eccezione, il solito lunedì dedicato ai parenti poveri ( del teatro ), i poeti. Nel foyer la vendita dei libri dei poeti che leggono in sala. Ma di insolito c'è Corrado Costa The Complete Films fresco di stampe dall'America: è appena terminata la lettura e tutti fuori a comprare, cinque minuti appena, tutte le copie esaurite, non ce ne sono altre. Non ne hanno stampate altre, per l'esattezza. Tutte le copie arrivate in Italia erano su quel tavolo.

martedì 5 giugno 2012

Il disegno della scrittura

La mostra dedicata a Gastone Novelli (1925 – 1968) è la prima vera occasione per conoscere tutta la produzione dei suoi libri, anche con alcuni inediti. Marco Rinaldi, curatore della mostra fra gli autori del Catalogo generale (Gastone Novelli. Catalogo generale, 1. Pittura e scultura, Silvana Editoriale, 2011) presentato a Milano in occasione della giornata di studi organizzata dal Museo del Novecento, conduce il visitatore a esplorare l’universo multiforme di Novelli, tra il 1957 al 1968, per comprendere le implicazioni culturali e i legami che stimolarono la sua straordinaria ricerca dove linguaggio e immagini/segni si integrano perfettamente.
La mostra si apre con la serie di litografie affiancate a poesie di Dacia Maraini (1957) che risentono del fascino della calligrafia giapponese di cui, proprio quell’anno, Fosco Maraini pubblicava un articolo su L’Esperienza Moderna, rivista fondata nel 1957 da Novelli e Perilli. Del 1958 troviamoScritto sul Muro, un lavoro emblematico, composto da ventisei litografie. Il foglio, assimilato a una porzione di muro sul quale sono impressi momenti dell’esperienza umana, diventa il luogo della sopravvivenza, della memoria, ma anche della coesistenza di passato presente e futuro in un flusso unico e continuo. Nei dipinti di Gastone Novelli nel 1961 iniziano a comparire strutture a griglia nelle quali si inseriscono parole e segni con valore equivalente. È un momento di svolta e maturazione dove l’interesse dell’artista per la scrittura e la grafia acquistano spessore grazie alle sperimentazioni dell’avanguardia letteraria e alle ricerche poetiche dei «Novissimi».
Il polipo è uno dei principali motivi decorativi dei vasi minoici, 1962-1963 ( Archivio Gastone Novelli - Courtesy Museo del Novecento, Milano - © Comune di Milano)

Di questo momento è significativo l’intervento di Novelli per illustrare il brano L’Image di Comment c’est di Samuel Beckett (1961) di cui troviamo in mostra le quattro litografie della plaquette che sarebbe dovuta uscire in concomitanza alla pubblicazione dell’opera. Novelli applica un procedimento, ripreso in seguito anche per Ilarotragoedia di Manganelli, dove si assiste alla libera rielaborazione di frasi dal testo originale inserite tra disegni, lettere e parole. Per L’Image però le composizioni tendenzialmente rimangono all’interno di una gabbia, espediente che accentua l’integrazione ed equivalenza tra parola e segno come fosse un testo a stampa e al tempo stesso rende visibile quel balbettio tipico dello stile di Beckett, che Novelli traspone con un impostazione ritmica discontinua ed eterogenea usando lettere, parole, frasi e segni.
In Antologia del possibile (1962), esposta per la prima volta, compare un sistema a gabbie quadrate dove si alternano testi poetici del gruppo 63, brani di Angelo Maria Ripellino tratti da Intolleranza (1960), foto di scena di «Collage», un’azione musicale di Aldo Clementi con testi e materiale visivo di Achille Perilli in scena a Roma nel 1961, insieme a immagini tratte dalla cultura di massa come pubblicità o foto di Pin Up girls, fotomontaggi e fotogrammi di film dei fratelli Marx, in un universo culturale di matrice surrealista ma anche pre-pop. Dello stesso anno in un’unica copia le illustrazioni per il romanzo erotico di George Bataille Histoire de l’oeil e sullo stesso tema, caro a Novelli, troviamo in mostra le incisioni raccolte insieme al testo Das Bad der Diana (1965) di Pierre Klossowski, un lavoro inedito.

Serie della Hilarotragedia 13 Anticamera dell ’Ade 8, 1964 (Collezione Giorgio Cappricci - Courtesy Museo del Novecento, Milano - © Comune di Milano)

Le tavole con i disegni di Novelli per Hilarotragoedia di Giorgio Manganelli (1964) fanno da cornice unificante al nucleo centrale della mostra. InHilarotragoedia Manganelli affronta il tema del trapasso e della discesa all’Ade con visioni inquietanti e assurde, descrivendo i diversi modi di cadere degli adediretti (noi umani) per raggiungere l’aldilà. L’intervento di Novelli diventa commento e interpretazione leggera e ironica al testo, sdrammatizzando l’idea di metamorfosi e disfacimento legata al discorso junghiano e alchemico, e quello della perdita della memoria in relazione al trapasso. Lo stesso anno Novelli su «Grammatica», rivista fondata nel 1964 insieme a Giuliani, Manganelli e Perilli, scriveva «Il linguaggio magico elabora un sistema strutturato utilizzando residui e frammenti, ‘testimoni fossili di un individuo o della società’, in modo del tutto astorico».



Sembra questo pensiero a condurre l’artista alla realizzazione del suo Viaggio in Grecia (1966), frutto di un lungo lavoro di raccolta iniziato a partire dal suo primo viaggio del 1962, alla ricerca delle origini del linguaggio, dei miti e delle immagini che diedero vita alla cultura europea. Qui troviamo gli elementi «originari» del linguaggio rinnovato di Novelli. L’idea iniziale di una guida turistica si trasforma sovrapponendo esperienze diverse, come le ricerche condotte in Brasile tra il 1949 e il 1954, a quella greca in una narrazione che sembra essere consapevole di tecniche narrative adottate da Joyce nell’Ulisse.

Sovraccoperta de I viaggi di Brek, Edizioni Alfieri, 1967 (Archivio Gastone Novelli - Courtesy Museo del Novecento, Milano - © Comune di Milano)
Nei I viaggi di Brek, scritti e illustrati da Novelli nel 1967, riemerge l’interesse per il genere del fumetto già sperimentato dall’artista nel 1964 con i fumetti per Nel cieco spazio di Alfredo Giuliani. Tra il 1966 e il 1968 Novelli fa della pittura il linguaggio per la contestazione, in Mais si vous voulez porrir en paix (1968) l’artista esprime l’adesione al modello rivoluzionario, inteso anche come rinnovamento dell’individuo e concepisce il testo come un tazebao ritmato da incisioni con paesaggi surreali.

La mostra si rivela dunque un intreccio a maglie molto strette fra Novelli e la produzione letteraria e le ricerche più avanzate in campo linguistico/antropologico di quegli anni, che alla luce della mostra trovano un fondamento ancor maggiore e permettono di individuare nei libri e nelle sue incisioni il luogo eletto per la sperimentazione e la ricerca di nuovi universi. Il lavoro curatoriale di Rinaldi non solo mette pienamente in luce le relazioni che Gastone Novelli intrattenne con il mondo della scrittura, ma anche quanto i libri permettono di comprenderne a pieno il percorso. Aspettiamo dunque al più presto il secondo volume del catalogo generale dedicato ai libri e all’attività grafica di Gastone Novelli.Emerge anche l’importanza del Museo del Novecento come luogo di produzione culturale teso a incoraggiare nuovi studi e nuove ricerche. «È vero che è incredibilmente difficile fare doni spirituali ai propri contemporanei perché le idee nuove uccidono il comodo, l’abituale passato, ma ogni freno imposto a ciò che è ricerca, è anche un gesto antirivoluzionario, serve a limitare le possibilità future di conoscenza delle masse» (Gastone Novelli, 29 giugno 1968).
LA MOSTRA
Il disegno della scrittura: i libri di Gastone NovelliMuseo del Novecento, Palazzo dell’Arengario – via Marconi 1, Milano
a cura di Marco Rinaldi
fino al 17 giugno 2012



lunedì 4 giugno 2012

In rima e senza

giorgio bassani [1983]

sabina fiorenzi videor

GIORGIO BASSANI,IN RIMA E SENZA di sergio falcone | www.sergiofalcone.blogspot.com
Mondadori pubblica nella collana Lo Specchio (I poeti del nostro tempo) tutta l’opera in versi di Giorgio Bassani, col titolo In rima e senza. Il tardo Bassani torna dunque alla poesia? I suoi esordi dopotutto sono legati a due libri di versi, che aprono appunto questa nuova raccolta: Storia dei poveri amanti (1945), Te lucis ante (1947).
Ne parliamo con l’autore.

Quale rapporto corre tra la raccolta di tutte le sue poesie e le quasi mille pagine del Romanzo di Ferrara?

“Tanto la mia poesia, quanto Il romanzo di Ferrara sono una forma di confessione. Anche nel romanzo mi sono confessato: attraverso i personaggi. Micol Finzi-Contini è una parte di me, il dottor Fatigati de Gli occhiali d’oro s’impadronisce di alcune circostanze, di certe mie abitudini. Bruno Lattes, protagonista di alcuni miei racconti e romanzi, assomiglia molto a me. Non ho mai potuto concepire un racconto senza aver chiara nella fantasia, nei minimi particolari, la casa che era teatro della vicenda.
La poesia lirica, invece, è una forma più diretta di confessione. L’io delle mie poesie coincide quasi perfettamente con l’io esistenziale, con la persona del poeta. L’unico diaframma fra il lettore e il poeta è la forma. La forma impedisce, purtroppo, o per fortuna, che la confessione sia totale”.

L’ultimo Bassani torna alla poesia?

“Veramente non me ne sono mai allontanato. Ho sempre cercato di confessarmi, di volta in volta, sia attraverso la cosiddetta lirica, sia attraverso la forma narrativa”.

Quali le cronologie, le datazioni, i luoghi geografici nei suoi versi?

“Ferrara e Roma. Sono le mie due città. La prima parte, che si chiama In rima, succede tutta a Ferrara. Sono le poesie di quando abitavo là. E’ vero che Te lucis ante, la seconda parte di In rima, l’ho scritta a Roma. Ma in sostanza tutto accade a Ferrara. Nel ’43 sono stato in carcere. Una esperienza drammatica, spaventosa, religiosa in qualche modo, che mi ha dettato successivamente, nel ’47-’48, appunto le poesie di Te lucis ante. Dicevo che la prima parte succede a Ferrara. L’ambiente di queste poesie, le immagini, sono di Ferrara. La città, la sua campagna, la mia famiglia, i miei amori. Ambienti familiari, stagioni, campagne, strade, tutto ciò che ho conosciuto, amato, respirato, sofferto… Mentre le poesie della seconda parte, quelle di Senza, accadono fuori di Ferrara. Sono scritte a Roma, e in fondo parlano di me a Roma”.

Quali sono i temi fondamentali della sua narrativa e della sua poesia?

“La ricerca dell’origine. La mia poesia è un recupero, del resto come Il romanzo di Ferrara, delle mie origini, della mia casa. Ricordo che già da ragazzo raccoglievo visi, profili, parole; mi colpiva un’immagine, un discorso, un aneddoto. La mia poesia è tutta reale, concreta. Anche come poeta sono uno storicista. Metto le date dentro i miei versi. Per esempio, scrivo in una poesia che si intitola Le leggi razziali, la data del ’39. Era quello l’anno esatto”.

Quali sono dunque i suoi maestri?

“Benedetto Croce, Roberto Longhi, sono stati i miei maestri. Entrambi mi hanno insegnato che ogni atto dello spirito è unico e irripetibile. Ma anche Giorgio Morandi, nella sua riduzione al minimo della realtà, mi ha insegnato che l’artista deve essere vero, a costo di essere quasi niente. A Bologna seguivo le lezioni di Longhi, frequentavo Arcangeli, Rinaldi, Raimondi. Facevo parte della scuola letteraria bolognese”.

Che cos’è per lei la storia?

“La storia per me è il risultato di una realtà spirituale”.

Lei ha studiato a lungo il Vico. Linguaggio, poesia e storia sono i campi in cui più moderne appaiono le intuizioni vichiane. Vico è un pensatore attuale?

“Sì, se Vico aveva colto l’inadeguatezza della ragione tradizionale, e ne voleva l’allargamento, attraverso il pensiero mitico, attraverso i rapporti tra pensiero e società, tra riflessione e fantasia poetica, tra idee e parole. Vico era attento all’inconscio dell’anima umana”.

“Poeti non si nasce, poeti si diventa”, disse un critico…

“’Critici si nasce, poeti si diventa’, diceva Roberto Longhi. Il primo atto è un’operazione critica e intellettuale. Poeti si diventa dopo, se segue la poesia. Però bisogna che accada la prima condizione, che non può non essere un’operazione critica”.

Veniamo al tema degli ebrei, dell’ebraismo, della diversità delle proprie origini, nei suoi romanzi, appunto, ne Gli occhiali d’oro, ne Il giardino dei Finzi-Contini…

“Mi sono occupato del tema decadentistico degli ebrei, senza essere ebreo. O, meglio: lo ero, poiché nascevo ebreo. Ma, credo, il tema dell’ebraismo, nei miei romanzi, è affrontato senza pietismo religioso, senza il minimo coinvolgimento mentale”.

Molta sua poesia è legata al tema della diversità degli ebrei: Storie di poveri amanti, Cena di Pasqua. Vennero le leggi razziali, il carcere, in anni in cui tutto sembrava perduto…

“Le leggi razziali, il carcere, erano stati un evento fondamentale nella mia vita, perché se da un lato, come emarginato, mi avevano separato da un contesto sociale, dall’altro mi ci avevano collegato per sempre”.

Ricorre il centenario di Mussolini, raccontato in tv – un buon motivo, tra i tanti, per tenerla spenta – alle giovani generazioni negli abiti di buon padre. Che cos’è il fascismo per il poeta Bassani?

“Un’epoca atroce ma felice. Ovviamente per me. Tra il ’38 e il ’45, i lunghi anni della mia resistenza e della militanza clandestina antifascista sono stati tra i più felici della mia vita. Mi sentivo emarginato, segnato, ma allo stesso tempo ero convinto di essere nella verità. Erano gli anni in cui mi si rivelava la bellezza della mia terra. Ricordo un inverno in cui la pianura m’era parsa minacciata: non un filo d’erba che annunciasse la primavera, non un uccello. Mentre altri miei correligionari prendevano la via dell’America, io preferivo restare là, a Ferrara”.

Facciamo un salto in avanti di dieci anni. Come lettore di Feltrinelli, lei ha pubblicato Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Perché non si occupa più di editoria?

“A quell’epoca ci si occupava di letteratura, nell’ambito editoriale, senza degli scopi di tipo consumistico o industriale. La prima edizione de Il Gattopardo risale al ’58. C’era tutta una letteratura che rispondeva alle attese di noi lettori di case editrici. Stampavo Tomasi di Lampedusa, D’Arzo, Delfini… Sarei incapace oggi di fare una rivista come Botteghe Oscure, o di dirigere una collana come I Contemporanei di Feltrinelli”.

Quindi, crisi della letteratura?

“In un certo senso, sì. Ma soprattutto crisi dell’editoria. Le case editrici oggi sono tante fabbriche che si preoccupano solo di produrre degli oggetti di consumo”.

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