Segretarie di regime
Teresa Campi
Teresa Campi
L’insonne Concetta roteò i globi oculari attorno al soffitto della
sua camera mentre la radio sveglia, sintonizzata su modulazione di
frequenza 96,3, alle otto e un minuto del mattino, la voce del cronista
stava scandendo in ordine alfabetico i nomi dei segretari di partito
coinvolti nell’accessoriame governativo fra parlamentari, deputati e
senatori in odore di corruzione e di malaffare. Concetta aguzzo’ in
parallelo i sacculi delle orecchie: era arrivato anche il suo turno? Il
Presidente del partito era agli arresti domiciliari ed erano finiti sotto
processo i corruttori fra colti in strafragranza di reato.
La signora Concetta Spreafico, di mezza età, romana di adozione,
nativa di Afragola e residente a Torpignattara; capelli biondi cotonati
al centro e ricci in caduta a metà collo, occhi azzurro stagno, pelle
color oliva di Gaeta e sorriso senza la visura dei denti; molto a modo
nel vestire con cardigan di cachemire e camicetta, pantaloni in tinta
di beige o volendo gonne a tono - quella mattina rimaneva stordita a
letto, immobile, previo dolore lancinante alle due cosce, e d’aggiunta
impossibilitata a gettare la testa sul cuscino per via della sua collottola
sopraggiunta come da spilli che scodinzolavano per tutta la colonna.
Era in stato di panico.
Due anni prima, correva l’anno delle mani immerse nella marmellata
dell’Albergo Trivulzio, estate 1992 e la donna viveva già da una
settima in condizioni misere con l’incubo dell’arresto del suo capo.
Fra i vari suicidi dei collaboratori, gli arresti domiciliari di taluni,
processi in corso a tal’ altri, Concetta s’aspettava di dover rendere
prima o poi conto dei conti dell’ufficio contando esclusivamente sulla
buona fede, ma vallo a spiegare al maresciallo che l’aveva messa sotto
torchio per almeno tre ore, tre giorni prima alle tre del pomeriggio.
E di che reato poteva essere mai accusata? Non aveva mai sottratto
denari, se non di sguincio per avere odorato banconote da brava
foriera di denari che aveva sempre visto da lontano s’intende, ma
quella mattina del tre di agosto,1992, chissà perché la turbò il ricordo
di suo padre - guardia forestale, che meno male era passato ad altra
vita prima eventualmente di vedere la propria figlia dietro le sbarre
-quando appena ventenne lo vide schiattare in cucina dopo una
abboffata di spaghetti alla gricia preparati dalla madre Adelaide che
provocarono, a detta del medico, una sincope del poveretto, all’età di
48 anni.
Giammai lei s’istruì di nuovo in tale pietanza e induriva le froge
ogni qual volta la madre, negando l’evidenza dell’accidia, ripeteva
la ricetta vantandosene con le amiche in sua presenza con dovizie di
aggiornamenti: altro modo di cucinare gli spaghetti alla gricia era
con l’impiego talora di frattaglie di suini freschi s’intende, ottimi
d’inverno, a detta della sora Adelaide, o anche con pancetta fresca in
primavera perché scende giù come Dio la manda, meglio l’impiego
del lardo di Colonnata, ma per quello bisognava prendere il tram
e andare al mercato di Piazza Vittorio. Ma tant’è, dopo tutto il
trambusto che era successo con i primi arresti e le prime confessioni,
di polli maschi da spennare non ce n’erano più: erano rimaste sole,
Concetta e Adelaide seppure non conviventi, fatta eccezione per l’ex
mitico capo, il quale aveva sempre girato alla larga dagli inviti profusi
dalla signora Adelaide, colpevole di omicidio nei confronti del povero
marito schiattato, e finanche a elezioni vinte il Capo non mantenne
la promessa di andare al pranzo organizzato da Adelaide e sua figlia
Concetta, come aveva promesso.
Concetta tirò un sospiro di sollievo.
Ora il cronista parlava di politica estera, e poi le notizie erano finite in
pubblicità. Ma dopo tre soli minuti di sollievo, Concetta ricadde sul
parabrezza del letto, tale a gallinaccia sgozzata tanto che non avendo
di che alzarsi - l’ufficio era sotto sequestro e pur volendo
sommamente non avrebbe neanche potuto riscuotere i contanti contati
fuori busta, con l’aggiunta degli arretrati com’era di solito ottenere
ogni 29 del mese. Eppure Concetta era arrivata a quell’impiego come
ultimo residuo di aspirazione alla normalità di un lavoro
dipendentissimo dopo anni di schizzinoso travaglio amministrativo,
esperta di penne, matite, temperini e corridoi e ascensori presso il
Comune di Roma nell’area dei Servizi Anagrafici e Demografici, sito
presso l’ufficio dello Stato Civile del Municipio di cui sopra, con
orario di apertura al pubblico il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 8,30
alle 12 e il sabato dalle 8,30 alle 11 per gli atti di nascita e morte. Da
suddetto ufficio, quando si era licenziata perché il Capo del Partito
delle Metropolitane and C. l’aveva scelta come sua personale
segretaria, Concetta aveva asportato dalla sua scrivania solo una
boccetta d’inchiostro e penna col pennino che già non s’usavano più
ma era gratificante quando, messi gli strumenti a disposizione del suo
nuovo ufficio, il capo a corpo curvo sulla sua pelata intingeva il
pennino della suddetta penna, verso la boccuccia della boccetta per
andare a firmare in calce dove aveva messo il ditino Concetta, anche
se questo gesto semplice, aveva notato Concetta, un poco lo
inciprigniva. E solo ora capiva il perché. Il Capo non travasava a cuor
leggero i soldi da un fondo o un conto da una banca svizzera o da una
business and menagement society ed altre affini che’ lei non sapeva
l’inglese, ad un altro conto, spesso collocato anch’esso all’estero, con
causale spesso siglato con le parole Acquisizioni , Fusioni ed
Operazioni Societarie, Gestione Crisi di Impresa, Risanamento
aziende e Turnaround. Erano cose della massima riservatezza,
talmente riservate che lei stessa si riservava di giammai interpretare
per iscritto e per orale i traslati delle transazioni transitorie e affini
con il massimo del garbo anche se Concetta si dimostrava apprensiva
del cerimoniale, schizzinosa nell’eseguire l’ordine richiesto per poi
diventare una buldozer in carne che livellava e raspava i resti dei
documenti nel tagliacarte. Altra cosa quando si presentavano
individui con cartellina in cui venivano infilzati etti di banconote
stirate, spesso in doppio petto con camicie a righe, sfarzosi
nell’impomo, lusingati da profumi maschi del tipo fragranze legnose o
muschiose che parevano pervenuti direttamente dalla Selva della Val
Gardena e che invece avevano uno strano accento del Sud, giusto
cinque minuti prima di fare il loro comodo ingresso nell’ufficio di
Leader & Associati dove lei li accoglieva con tutta la coda dell’olezzo e
li faceva accomodare sul sofà Brown bianco.
Quanti bei ricordi!
Concetta si guardò di sfuggita allo specchio. Era così sfiorita
rispetto all’epoca in cui frequentava il parrucchiere più bravo di
Torpignattara, quando montava ad uovo i capelli rilucenti d’oro
come paglia di fieno al tramonto, quando ripassava la puntina
della matita bluette a contorno occhi, in odore di pulizia celestiale,
indossava tailleur della Spagnoli di seconda mano, o di Cenci, ma si
doveva mettere in fila per i saldi anche se aveva nel negozio un amico
lavorante che l’avvertiva telefonicamente prima delle svendite.
Parve ad un certo punto di riprendersi. Si sentiva meglio ora ai
ricordi di un tempo passato. Erano già le undici del mattino, l’ora di
prendere la medicina, basse dosi che il medico le aveva ordinato
contro l’epilessia ma pareva che funzionassero come psicofarmaci. Si
alzò a sedere sul letto e bevve le pillole direttamente dal flacone
oppioide e comincio a togliersi qualche nuvola dalla testa gettando lo
sguardo gettato al di là del prato di borgata antistante la sua camera,
scavallando il gonfiore stranito a capellottola sotto l’occhiaia sinistra.
Cosa poteva opporre lei se era capitata nel cuore della grande truffa
ai solidi danni dello Stato, che stavano sempre in uno stato molto al di
sopra delle sue forze quando non era neppure riuscita, dal canto suo,
a mettere da parte gli arretrati che ora erano arretrati per sempre: lei
non aveva potuto confermare, dinanzi alla guardia di finanza, l’uso e
il disuso di quel denaro facente parte del mucchio inquisito -pensava
con la testa finalmente azzeccata sul cuscino con un remotissimo
sventaglio di adolescemenza perché afferrò il canuccio di peluche che
zittiva sulla poltroncina a quadrucci, come ultima àncora e se lo mise
sul petto, carezzandolo. Decise di alzarsi. L’incantata andò per
appoggiare l’alluce nudo alla ricerca della pantofola rinffreddolita
nonostante il caldo tropico e iniziò ad alzarsi sgusciando dalla
copertina ma ecco che il telefono trillò. Era Adelaide, sua madre, che
la informava puntualmente sul suo stato di salute ogni qualvolta che
la sua amica Angela Barbagallo, coetanea della mamma, ipocondriaca
dalla nascita, possidente di uno sfigato manometrio elettronico,
costituito da bracciale collegato ad un misuratore a pompetta , le
misurava la pressione sanguigna facendo ballare la sballata colonnina
trentennale dell’attrezzo che, era stato ereditato da uno zio morto.
L’ottantenne Adelaide, per giunta sorda da entrambi i labirinti,
continuava il parterre sulla base di minime e massime tali al gioco
della morra che cambiano ogni cinque secondi per concludere la
telefonata con il solito: ‘povera figlia mia’ e al finale ‘povera figlia m..’
Concetta aveva già ricollocato la cornetta nel braccetto ma piano però
in modo che la madre pensasse che la linea era andata a fare un giro.
E pensare che Concetta aveva svoltolato il suo lavoro così
accuratamente, scrivendo in stile gotico sulle cartelline le etichette con
la colla fatta a matitona, per poi riporle nelle scaffalature metalliche
a ripiani alterni con la data dell’anno scritta in stile sempre gotico
e inchiodate nelle scaffalature metalliche a ripiani alterni e che guai
se non le avesse riposte in buon ordine numerico usando le lettere e i
numeri, la punteggiatura, le maiuscole e le minuscole.
Nell’ammasso dei commessi di tangentopolandia di cui giammai
Concetta fu consapevole, taluni erano venuti nel sontuoso ufficio del
Capo sito in via Visconti dietro la Cattedrale, a farle visita ogni
martedì per riscuotere la mazza in buste sigillate contenenti
banconote stirate tipo lastre di pasta all’uovo come fuoriuscite dalla
saracinesca di Bimbi e passando dalle sue unghie laccate ai nodi delle
falangette dei commessi veniva posta, la mazza, in barre di valigette
simil pelle con chiusure che facevano ‘tac’e tanti ringraziamenti cui lei
rispondeva con sorrisini senza denti mentre soddisfatta del ruolo che
ricopriva richiudeva a chiave i cassettini pendendo la chiave a
dondolo sulla sua scollatura. A ricevuta effettuata, scritta a mano,
priva di timbro e partita IVA, lei allungava il gancio del gomito sul
cassettino destro della scrivania dopo avere opposto la sigla,
preoccupata di essere, in quegli atti reiterati, al massimo corretta e
gentile come se i denari fossero l’incarnazione stessa della reliquia
della Madonna delle Grazie che proteggeva il Partito il cui
segretariato la faceva fibrillare nel corpo e nella mente perché quei
denari estremi erano le conferme di quanto il potere potesse elargire
classici favori in cambio della sua stessa sopravvivenza dietro il desk
ove sedeva ormai da anni il suo tailleur sempre grigio. E così
procedette per giorni e giorni dei più begli anni della sua vita,
puntellati dall’azione pressoché mensile di passaggi di documenti nel
tagliacarte elettrico di cui sopra il cui soffice ronzio provocava un
puro orgasmo di soddisfazione se azionato davanti al suo capo,
quando ogni venerdì alle ore 15,15 entrava nel suo ufficio a
controllare che niuna carta fosse rimasta a testimone degli scambi.
Quali faccende fossero oggetto di scambio a lei non era dato saperlo e
per fortuna ora aveva ben poco da confessare da quando il suo ufficio
era stato posto sotto sequestro e sigillato da guardie di finanza a
rotazione. Lei nulla sapeva di quanto sapevano i giornali, stampa e tv
che quei denari erano finiti nel mucchio di fabbricazioni di
metropolitane, appalti urbanistici, in acquisti di tonnellate di cemento,
bentonite per costruzione e manutenzione di strade, sopralluoghi di
tecnici altamente qualificati, assistenza alla clientela nelle fasi di scelte
esecutive ed alla esecutività del progetto, redazione di preventivi di
spesa redatti in base alle esigenze del committente, realizzazione,
riparazione e manutenzione di reti fognarie e quant’altro di altro
ancora. E tac, proprio in quel preciso istante, la tv vomitò qualcosa
che la fece sobbalzare.
-Driin-
Ma lei non rispose al telefono.
La voce del cronista alla radio spiattellava il nome di una ditta che
lei conosceva e che anzi aveva versato al partito parecchi miliardi
di lire. I fu ‘il’ percorso di terrore che come un treno le drenò le
trentasei costole e diramazioni della spina dorsale per poi incunearsi
nella cercive della cervicale nell’attesa spasmodica a anche un poco
sadomasochista di finire quell’attesa anche se il suo avvocato le aveva
consigliato di presentarsi come parte lesa. Ma lei non era stata lesa!
Anzi: erano stati tutti gentili con lei: serate ai concerti di beneficienza
nella chiesa di Torpignattara, le matinée al teatro dell’Opera nella
serie dei concerti family, i carciofi alla giudìa al ghetto, la pajata sulla
piastra servita ai tavoli fuori sotto la pergola, in primavera inoltrata,
Ma lei se lo aspettava da un momento all’altro che venisse fatto il suo
nome, lei rea perché sottosegretaria alla segreteria politica, direttore
di supplenze alla segreteria politica, coordinava la divisione sicurezza
e gestione crisi, svolgeva mansioni di front office management a anche
era responsabile del settore dei Moduli d’Innovazione. Un punto nel
cuore l segnò pensando a quante persone che lei aveva conosciuto
e che avevano frequentato gli uffici del partito avevano tentato il
suicidio più o meno riuscito, mentre lei aveva castigato se stessa a letto
in condizione fibromialgiche e gastroenteriche talmente sofisticate
e aggiuntesi nel giro di qualche ora, alla suddetta infiammazione
cervicale, che non riusciva a fissare neppure un appuntamento
mutualistico al recoop come richiesta da medico suo assai generico.
Non veniva pronunciato il suo nome almeno per questa tornata. Ma
presto, molto presto avrebbe sentito il suo nome nella lista, tra l’altro
stroppiato in uno Spreàfico anziché Sprèafico, il che la risanava un
attimo perché magari la zia, la cognata, la nonna e perfino il suo
idraulico non l’avrebbe riconosciuta o magari, distratti da faccende
che non permettono né ascolto della radio, né lettura di quotidiani
magari non avrebbero pensato a lei, ma tant’è che il gioco sarebbe
durato poco perché sarebbero tutti venuti in carcere a portarle frutti
di stagione fino al processo. Ma, al processo mai arrivò la Concetta.
E prima del pronunciamento del nome Concetta alle 14 e 30 di quello
stesso giorno, si cucinò l’esatta ricetta della madre, la stessa che la
madre aveva preparato per il padre schiattato, aggiungendo tre etti
di lardo di colonnata che aveva congelato per qualsiasi evenienza,
lo frullò e lo immise sulla pasta in cui aveva collocato quattro etti di
pancetta affumicatissima e lo mangiò veloce in neppure 40 secondi,
tanto che rimase con l’occhio sbarrato e neppure finì un Ave M…
Teresa Campi
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