domenica 6 gennaio 2013

il poeta che amiamo

Giovanna Bemporad
Elio Pagliarani «Ebbi la ventura di incontrare nella prima adolescenza una Pizia adolescente, autentica sacerdotessa di Apollo (si misurava già con Omero), musicale fin negli ingorghi più intrigati delle viscere».
(Questa è l’immagine, esatta, che di Giovanna Bemporad dà Elio Pagliarani, suo dichiarato allievo).
[Elio Pagliarani ricordando Giovanna Bemporad per festeggiare Montale in occasione del suo 80° compleanno: «Giovanna Bemporad mi declamava "felicità raggiunta" fra i capanni o " Sbarbaro, estroso fanciullo", i più facili epigrammi le notti estive a spiaggia in mezzo ai corpi degli amanti- tentando il tredicenne da che parte?».]

la prefazione di Andrea Cirolla a Esercizi vecchi e nuovi, prima edizione definitiva delle sue poesie (Archivio Dedalus Edizioni, Milano 2010).
11 marzo 2010. Sto nel silenzio della casa. Oltre la finestra guardo una nuova notte, cerco le sue forme nel buio, trovo riparo nella quiete. Quando distolgo gli occhi è per ricevere una chiamata. Al telefono è Vincenzo Pezzella. Saluta, si presenta, non maschera il suo entusiasmo; nel giro di qualche frase arriva la notizia: finalmente si farà il libro.

Come si è risolta, così anche si apriva – al telefono – l’avventura di questa nuova edizione degli Esercizi. Fu durante la nostra prima telefonata infatti, che Giovanna Bemporad mi rivelò l’intenzione di riproporre il libro al pubblico. Era stata inizialmente un’idea degli amici, e la proposta di qualche piccolo editore. Del resto così accadde anche per le due precedenti edizioni, pubblicate a una trentina d’anni di distanza l’una dall’altra – all’incirca lo stesso tempo, quasi fosse un destino, che ha separato la più recente delle due (Garzanti, 1980) da questa terza e definitiva.

Ma quella che in principio era solo una proposta lusinghiera, divenne in breve un’esigenza interiore, la necessità di lasciare testimonianza delle molte correzioni, variazioni, e talvolta consistenti riscritture delle vecchie poesie, con la speranza di vedere insieme pubblicato il considerevole gruppo di inediti raccolti negli anni di silenzio.

27 ottobre 2009. Ho parlato ieri in tarda serata con Giovanna. Siamo stati al telefono quasi un’ora. Abbiamo messo a punto gli ultimi particolari per la pubblicazione degli inediti sul prossimo numero di Nuovi Argomenti (poi sul n. 54, Aprile-Giugno 2011, ndA). Mi è parso di sentirla finalmente serena, fiduciosa, nonostante la difficile situazione in quelli che lei chiama i suoi «giorni senza storia». Durante le nostre telefonate sembra ritornare in una dimensione più autentica. «Concludo la mia vicenda di poeta così come l’ho iniziata, eppure…», questo mi ha detto a un certo punto ieri, ed è stupefacente. Giusto qualche sera fa mi raccontava della sua vita da giovanissima bohémien, negli anni del dopoguerra a Venezia. Lì nacquero gli Esercizi, in una cantina senza luce né riscaldamento. La stanza in cui alloggiava precedentemente, passato un breve periodo fuori città, era stata infatti destinata dalla padrona di casa all’allora direttore del Gazzettino. Fu lui a trovarla una notte mentre rincasava, inciampando nel suo corpo dormiente sulle scale. Quando l’indomani ci si mosse per trovarle un nuovo alloggio, non si trovò altro che quello stanzone sotterraneo, il cui unico arredo era un rubinetto, e dove le notti erano infestate da topi e scarafaggi. Prese così a stare sveglia nelle ore buie, al lume di candele costruite con una cera gialla, residuo degli anni di guerra. Per evadere dalla dura realtà, e vestire quello spazio ostile e disadorno con la sostanza dei sogni, rapita dall’esaltazione mise a frutto la sua «cultura dannunziana e leopardiana». Scrisse le poesie che sarebbero state poi pubblicate da Urbani e Pettenello nel 1948. Nel frattempo gli amici la aiutavano, chi regalando un materasso, chi un tavolo, chi una vecchia stufetta. Le ricche signore del circondario, estimatrici del suo giovane talento, si preoccupavano della nutrizione, mandandole salami e alimenti vari, che col suo stomaco malandato lei faticava a mangiare. Venne poi l’incarico giornalistico presso il CLN, come riconoscimento dei meriti partigiani; dunque lo stipendio di 10.000 £ al mese e la gradita mensa con pasti caldi e abbondanti. Insomma, si usciva dal baratro della povertà. Negli anni successivi Giovanna trovò rifugio a Firenze, presso la Carbonaia, villa settecentesca dei conti Capponi. E sposando, infine, nel 1957 un futuro senatore democristiano, abbandonò del tutto la vita erratica della giovinezza per la quiete borghese.



(al telefono, poco prima del Natale 2008)

L’abitudine di stare sveglia nelle ore notturne, per concedersi qualche ora di riposo solo dopo l’alba, Giovanna la conserva tuttora. Le nostre frequenti telefonate notturne hanno scandito questo mio ultimo anno. Nel silenzio dei suoni e della luce, quasi sottovoce, ho ascoltato, e poi trascritto, le poesie inedite che lei non ha mai avuto la forza di battere a macchina; quelle che nel presente volume costituiscono le nuove sezioni – «Saffiche» e «Poesie degli anni tardi» – e le altre che arricchiscono le sezioni già note. Nei mesi che hanno portato alla versione definitiva del libro ho assistito all’instancabile sforzo di Giovanna, la fatica di strapparsi alla difficile quotidianità per limare, correggere, perfezionare fino all’ultimo il corpo di parole e punteggiatura in cui abita la sua creatura poetica. Conoscere le nuove poesie ha sortito in me l’effetto di un dialogo solo momentaneamente interrotto: era quello con gli Esercizi nella loro versione del 1980, che scoprivo, e leggevo avidamente, nell’estate precedente al mio incontro.

Per questioni di studio, e su invito di Dario Borso (mio docente a Milano, che tanto ha incoraggiato anche la realizzazione di questo libro), mi ero messo sulle tracce di una fantomatica tesi di laurea in filosofia di Pasolini, mai discussa. Dopo aver compulsato l’Opera e l’epistolario, ecco che ero pronto a contattare gli amici della giovinezza. Roversi, Serra, e quella misteriosa Giovanna Bemporad autrice di un unico libro di poesie dall’invitante titolo Esercizi (non mi ero ancora imbattuto nell’opera più nota, la traduzione dell’Odissea). La mia ricerca pasoliniana naufragò, per mancanza dell’oggetto di studio, ma un’altra scoperta – sorprendente – mi attendeva.


11 agosto 2008. Stamattina ho telefonato a Giovanna Bemporad. Subito mi chiede se conosco qualcosa di lei, di quello che ha fatto, o se la sto contattando solo per aver trovato il suo nome nella Vita di Pasolini di Enzo Siciliano. Le dico che sì, conosco e apprezzo molto gli Esercizi. Lei mi parla lungamente delle sue traduzioni, del Cantico dei Cantici e dell’Odissea, il suo «daimon», l’opera che le ha rubato giorni e notti per una vita intera [...], poi accenna due parole sull’Eneide, che ora un editore di Milano vorrebbe ristampare. Con quest’ultima sono arrivate ultimamente tante altre belle notizie. «Pensa», mi dice, «che due piccoli editori di poesia mi hanno nuovamente proposto di ristampare, per il mio giubileo poetico (ma si sbagliava, ché dalla prima edizione del libro erano già passati sessant’anni, ndA), gli Esercizi, con gli inediti che ho accumulato in questi anni». Si assenta per un attimo dal telefono; quando riprende è per dirmi dell’amicizia esclusiva con Pasolini, tra Casarsa e Bologna negli anni della guerra. Mi parla delle molte lettere ormai andate perdute, tra le quali alcune delle più belle e importanti, compresa quella dove si racconta il loro primo incontro a Bologna. Ricorda con me le giornate passate come ospite nella casa dei Colussi, a Casarsa. In una stanzetta, Giovanna e Pier Paolo passavano la notte svegli a leggersi poesie. Lei era sempre la prima che Pasolini andasse a trovare quando tornava a Bologna. Dopo la lunga chiacchierata mi accorda un nuovo incontro telefonico, per il prossimo ottobre, durante il quale mi racconterà quel che d’altro ricorda di Pier Paolo, e degli Esercizi, se ne avrò voglia. «Lo sai che io vivo solo di notte, vero?». Mi stupisce e mi fa sorridere. «Questo non lo sapevo», le dico. Lei: «puoi chiamarmi verso sera; è da quando avevo tredici anni che lavoro esclusivamente in quelle ore. [...] Poi, solitamente non accolgo nessuno in casa, e quand’anche mi decido, solitamente non si fa nulla prima della mezzanotte. Dopodiché si può pure stare a parlare fino alle sette di mattina. Chissà, magari un giorno potrei decidermi ad accogliere te». Mi saluta, mi chiede cosa farò a ferragosto, mi augura ogni bene. Anche io le faccio i miei auguri, lei dice che serviranno a poco, ma «ogni augurio è sempre buono, e male certo non può fare». Infine mi manda un abbraccio, «anche se ancora non ci conosciamo».

Chiusa la telefonata per tutto il giorno non potrò evitare un senso certo di stordimento, uno strano stato mentale derivato dall’incontro con lei. Nei suoi tanti anni porta la giovinezza nesciente del tempo.

E così, dopo più di sessant’anni dalla prima edizione, ecco di nuovo gli Esercizi. Se di uno stesso libro, di uno stesso progetto, si continua a parlare, è per un aspetto di continuità, certo non garantita solo da un titolo. La spiegazione è semplice: Esercizi è il libro di una vita. E poco importa che per un periodo esso sarebbe potuto essere un libro fra i molti di una serie creativa; la sua verità sta scritta nella sua storia, e nel suo destino, che non a caso è speculare a quello dell’altra avventura letteraria di Giovanna Bemporad, l’altra “opera aperta”, per sua natura incompiuta: l’Odissea.

Nelle nuove poesie, pur constatando l’apporto di immagini e suggestioni inedite, si ritrovano gli stessi temi di un tempo, su tutti quell’ansia di morte che tanto stupiva quando a renderla in versi era solo una ragazza (nei «Diari» leggiamo: «non altro si vorrebbe che morire»). Col passare degli anni, il sostrato poetico del libro non si è affatto aggravato di nuove ansie o paure, ma si è ritrovato costantemente in quello stesso, immutato, sentimento di un tempo. Lo “scandalo” della morte pietrificava, però anche seduceva la giovane “protagonista” delle prime poesie, e come un specchio la traslava in un’età futura, ma resa già nitida dall’«enigma sublime» che gli occhi rende prigionieri. Nei nuovi Esercizi quello specchio ritrova il suo spazio, fermo, mentre sono le due immagini di Giovanna a rovesciarsi. Riflessa sta ora la giovinezza passata, e a inseguirla con la poesia, evadendo il proprio presente, è la donna che guarda da «una riva lontana».

Tutto ciò è, a ben vedere, nient’altro che un nuovo «esercizio» dell’io, intento a correre su entrambi i binari di vecchiaia e gioventù, cercando dell’esistenza l’unità, il senso, ma concedendosi infine soltanto al mistero, nell’ora della morte.



***
Giovanna Bemporad (1925-2013), ferrarese, fu allieva, al di fuori d’ogni accademia, di Carlo Izzo, Leone Traverso, Vincenzo Errante e Mario Praz; amica fraterna del giovane Pasolini e dell’anziano Sbarbaro, col quale intrattenne un lungo scambio epistolare testimoniato dal carteggio 1952-1964 edito nel 2004 dalle Edizioni Archivi del ‘900. Traduttrice precocissima dei massimi poemi della tradizione classica (prima l’Eneide, poi l’Iliade e l’Odissea, la cui versione in endecasillabi le vale a tutt’oggi la fama), si è occupata anche di poesia moderna, inglese (Byron), francese (Mallarmé, Valéry) e tedesca (Goethe, Rilke, Hölderlin). L’ultima sua traduzione è dall’ebraico, Il Cantico dei cantici (Morcelliana, 2006). Parallelamente all’attività di traduzione si è dedicata negli anni alla propria poesia, con l’opera, da sempre in fieri, degli Esercizi.

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