"Ma poteva essere molto più duro ed esplicito di fronte allo stesso Luciano Anceschi, peraltro riconosciuto maestro. La questione era per lui, in definitiva, di una semplicità disarmante.
Cercava fonti di prima mano, non notizie riportate. Era attratto dalle forme estreme e residuali dei linguaggi, dai nuclei periferici e seminascosti dove operavano gruppi di artisti organizzati fuori dall’ufficialità. Lo studio non gli procurò decisive rivelazioni, ma solo alcuni e determinati mezzi intellettuali. Il suo fine era un altro: ciò che lo ha guidato, da subito, è stata la scelta della sua vita, quella di “volersi poeta”. Un’adozione fatale, che gli ha in ogni caso fornito un orientamento per tutte le scelte successive, compresa quella conoscitiva.
La chiusura interna ai sistemi ideologici e scientifici gli risultava soffocante
Era sempre la poesia a dare un senso al sapere e non viceversa.
Ma poesia era ciò che ti cambia la vita, una scelta senza deroghe che esigeva strategie e maschere, dissacrazioni e ricostruzioni, beffe allegrissime e drammi senza soluzione.
Una esperienza politica, come diceva Corrado Costa, ma prima ancora esistenziale. Da grande giocatore Adriano credeva nello spirituale dell’arte come nelle ludiche metamorfosi dello amatissimo Queneau. In definitiva il poeta che aveva scelto di essere coincideva con la persona che era, la figura e la maschera si sovrapponevano, andando a coincidere nel luogo in cui la sua opera si apriva necessariamente agli altri, creava spazi per eventi pubblici e di gruppo."
http://draft.blogger.com/post-create.g?blogID=3243285248739227328
Nessun commento:
Posta un commento