Una raccolta di versi che si offre al lettore come interpretazione di un manuale erotico secondo la legge della perdita di
peso della parola, o una serie
di calembours costruiti freddamente sul vuoto? E' questo il
dubbio di chi affronta il catalogo di gesti pseudoieratici che
sembra essere
Le nostre posizioni , un libro che vuol essere
leggibile per equivalenze impossibili, mobilità-immobilità,
loquacità-silenzio, ecc. Direi che
la seconda impressione è quella
esatta,
Le nostre posizioni non
interpreta né spiega né racconta, è invece un progetto assurdo e fine a se stesso di linguaggio spogliato di senso, depauperato fino allo scheletro, alla
rete di relé che ne costituisce l'immagine cardiografica. Evidentemente Corrado Costa ha
trasferito un’essenzialità didascalica di tradizione orientale
nell’ impasto poco malleabile
della nostra lingua, un’operazione rischiosa, pericolante verso
una schematicità ortodossa,
bloccata. Ma appunto il gioco
riesce con grande tensione e lucidità per un rovesciamento totale e tagliente delle regole della precettistica, l’ortodossia e
» prima », come materiale bruto da manipolare e reinventare in nome delle equivalenze
impossibili, e la tabula rasa si
rifiuta al suo ruolo di cavia per
farsi obiettivo e risultato.
Dunque
Le nostre posizioni andrebbe letto non come interpretazione di un manuale erotico ma come trattatello di retorica, scadendo qui i valori postulati all’inizio del discorso (e
del libro) a nomenclatura utilitaria, vantaggiosa forse proprio per la sua semplicità sconcertante. E' vero che i titoli delle poesie richiamano apertamente le fantasiose e complicate alchimie fisiche dell’ ars amandi dell’ Estremo Oriente
favoloso e scomparso, ma è anche vero che questo rimando
culturale si vanifica in una quotidianità familiare, sulla quale
soltanto si applica il gusto
tutt’altro che perverso dell’assoluto. Così Corrado Costa si
serve di una versificazione elementare per asciugare il testo
e pulirlo da ogni incrostazione
di realtà, ed elimina l’analogia
mediante la ripetizione analogica e ossessiva di una dichiarazione di sfiducia nel suo potere di verità, o di consolazione. Naturalmente è da queste
premesse che il gusto dell’assoluto si può sviluppare senza
scivolare in scontate mitologie para-ermetiche, e divenendone anzi una critica più esplicita che implicita, più scritta a
chiare lettere sulla pagina che
solo pensata come analisi di un
ostacolo da aggirare. Viene voglia di affermare che con
Le nostre posizioni si tenta anche,
sia pure in prima approssimazione, una lettura non apodittica di certe scorie lasciate dalla
combustione novissima, con intenzioni di ricostruzione o almeno di rifusiome.
Possibilità
da non scartare in una situazione ancora una volta di crisi e di ripensamento, che l’attenzione quasi esclusiva di Corrado Costa per la pura tecnica della composizione riesce a
mettere a fuoco. E d’altra parte oltre l’apparente atonalità il
calembour si svolge spesso sotto il segno impellente di certe
considerazioni di stampo surrealista sugli spostamemi di
contesto, qui tuttavia agiti dall’estero e a priori come motori di una gnoseologia non degli oggetti e della loro apparenza ma di uno stato permanente di fluttuazione. Una metafisica negativa, insomma, proiettata sull’intreccio frammemtario e » povero » di una logica incapace di uscire da se stessa. Un lavoro di concentrazione riduttiva posteriore all’indicaziome di Giuliani, e sommabile (con risultati volutamente erronei) a una scelta di lessico imperniata su » microfurori e alteraziomi » .
Corrado Costa: Le nostre posizioni , Geiger, Torino 1972.
[¤] Adriano Spatola
Nessun commento:
Posta un commento