martedì 1 giugno 2010

La sera del di' di festa

Dolce e chiara e' la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna. O donna mia,
gia' tace ogni sentiero, e pei balconi
rara traluce la notturna lampa:
tu dormi, che t'accolse agevol sonno
nelle tue chete stanze; e non ti morde
cura nessuna; e gia' non sai ne' pensi
quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che si' benigno
appare in vista, a salutar m'affaccio,
e l'antica natura onnipossente,
che mi fece all'affanno. - A te la speme
nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
non brillin gli occhi tuoi se non di pianto. -
Questo di' fu solenne; or da' trastulli
prendi riposo; e forse ti rimembra
in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
piacquero a te: non io, non gia' ch'io speri,
al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
quanto a viver mi resti, e qui per terra
mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
in cosi' verde etate! Ahi, per la via
odo non lunge il solitario canto
del'artigian, che riede a tarda notte,
dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
e fieramente mi stringe il core,
a pensar come tutto al mondo passa,
e quasi orma non lascia. Ecco e' fuggito
il di' festivo, ed al di' festivo il giorno
volgar succede, e se ne porta il tempo
ogni umnano accidente. Or dov'e' il suono
di que' popoli antichi? or dov'e' il grido
de' nostri avi famosi, e il grande impero
di quella Roma, e l'armi e il fragorio
che n'ando' per la terra e l'oceano?
Tutto e' pace e silenzio, e tuto posa
il mondo, e piu'di lor non si ragiona.
Nella mia prima eta', quando s'aspetta
bramosamente il di' festivo, or poscia
ch'egli era spento, io doloroso, in veglia
premea le piume; ed alla tarda notte
un canto che s'udia per li sentieri
lontanamente morire a poco a poco,
gia' similmente mi stringeva il core.

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