domenica 24 ottobre 2010

ellEbOro

"Ma poteva essere molto più duro ed esplicito di fronte allo stesso Luciano Anceschi, peraltro riconosciuto maestro. La questione era per lui, in definitiva, di una semplicità disarmante.

Adriano non era incolto, aveva fatto il liceo classico e frequentato la facoltà di Lettere a Bologna, ma in primo luogo possedeva un’inesauribile autonoma curiosità che lo spingeva ad attraversare in proprio il clima del tempo.

Cercava fonti di prima mano, non notizie riportate. Era attratto dalle forme estreme e residuali dei linguaggi, dai nuclei periferici e seminascosti dove operavano gruppi di artisti organizzati fuori dall’ufficialità. Lo studio non gli procurò decisive rivelazioni, ma solo alcuni e determinati mezzi intellettuali. Il suo fine era un altro: ciò che lo ha guidato, da subito, è stata la scelta della sua vita, quella di “volersi poeta”. Un’adozione fatale, che gli ha in ogni caso fornito un orientamento per tutte le scelte successive, compresa quella conoscitiva.
La chiusura interna ai sistemi ideologici e scientifici gli risultava soffocante

Era sempre la poesia a dare un senso al sapere e non viceversa. 

Ma poesia era ciò che ti cambia la vita, una scelta senza deroghe che esigeva strategie e maschere, dissacrazioni e ricostruzioni, beffe allegrissime e drammi senza soluzione. 

Una esperienza politica, come diceva Corrado Costa, ma prima ancora esistenziale. Da grande giocatore Adriano credeva nello spirituale dell’arte come nelle ludiche metamorfosi dello amatissimo Queneau. In definitiva il poeta che aveva scelto di essere coincideva con la persona che era, la figura e la maschera si sovrapponevano, andando a coincidere nel luogo in cui la sua opera si apriva necessariamente agli altri, creava spazi per eventi pubblici e di gruppo."
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