Post by Orazio Converso.
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lunedì 25 agosto 2014
lunedì 5 maggio 2014
[Corrado Costa Papers] Per Spatola
Corrado Costa per Videor n°3
Numero monografico |
Cavriago/Sant'Ilario d'Enza RE, 1989 | |
Per Spatola [5'14"] |
CORRADO COSTA PAPERS
|
2014 |
VIDEOR 03
di Videor Rome 69 visualizzazioniEditor di Videor, videorivista di poesia di Elio Pagliarani, Nanni Balestrini, Corrado Costa, Edoardo Sanguineti, Vito Riviello, Amelia Rosselli, Adriano Spatola, Alfredo Giuliani distribuita dalle Librerie Feltrinelli per La Camera Blue con eventi ed edizioni videomagnetiche in nove numeri: Videor 3, 1989 Editor La Camera Blue Video [video bassa definizione]
[Corrado Costa Papers] Autobibliografia
Corrado Costa nell'Atelier di Adriano Spatola con Videor
|
Sant'Ilario d'Enza RE, 1988 | |
Autobibliografia [5'16"] |
CORRADO COSTA PAPERS
|
2014 |
Ne trascriviamo di seguito il testo parlato:
“Per ricostruire un po’ l’iter della mia poesia, segnalerei fra i libri assolutamente introvabili, che pur tuttavia sono sicuro che sono stati pubblicati anche se sono spariti assolutamente dal commercio (ed è probabile che non siano neanche stati distribuiti) sia per le disavventure degli editori e la disavventura totale di questo autore, segnalerei, come libri importanti, il Mignottauro, che conteneva poesie e disegni. Questo Mignottauro era dedicato a quel figlio di mignotta che è il Minotauro e conteneva altresì, assieme alle mie, poesie di Emilio Villa, creando una problematica molto strana, perché né io né Emilio Villa riuscivamo più a riconoscere quali fossero i testi di ciascuno di noi.E stampai anche una teoria delle ombre. La teoria delle ombre fu stampata a Macerata ed era la proiezione dell’ombra delle consonanti e delle vocali su un foglio bianco. Attraverso questa proiezione speravo che, proiettandosi le consonanti e le vocali, avrebbero composto delle parole. In effetti il libro risultò di estrema illeggibilità. Peraltro io posso anche sostenere che il libro era completamente leggibile, perché anche di questo libro non abbiamo più trovato traccia. Probabilmente è stato smarrito o è servito a strani regali di Natale a personaggi ignoti.Progettammo successivamente assieme a Giovanni Rubino (ne uscì un’edizione in pochissime copie) una Progettazione di preghiera per l’apparizione perenne. In quel momento, siamo nel 1973, avevo notato che in Italia e anche fuori d’Italia alcune Madonne avevano cominciato a piangere e altri Cristi a sanguinare e si cominciava, tra Piacenza e altre città del Nord, a vedere comparire la Madonna sopra degli alberi. Notai che le Madonne tendevano a comparire a vecchie signore, a pensionati e a bambini. Allora, pensando che le Madonne sono molte, progettai questa preghiera per far apparire le Madonne tra di loro e costruendo questo sistema per cui la Madonna di Pompei appariva alla Madonna di Fatima che a sua volta appariva a un’altra Madonna di… dove volete voi, adesso non ricordo esattamente. Poi ognuna tornava pian piano a ricomparire alle altre. Questa preghiera fu cominciata a stampare ma dovemmo fermarci perché moltiplicando continuamente per tre le apparizioni si raggiungevano dei numeri infiniti.Quindi feci nel Settantotto, assieme a Nanni Balestrini, un poema che lui non cita nella sua bibliografia: dev’essere anche questo introvabile. Questo poema, che si intitolava La piedra colectiva, fu scritto in spagnolo da noi due, che non sapevamo appunto lo spagnolo, con una tecnica di ripresa sulla quale abbiamo però dovuto mantenere il segreto.Su richiesta di un noto editore italiano, che me lo rifiutò immediatamente appena consegnato, feci un libro sui Film che per mia fortuna venne poi stampato in San Francisco. Anche questo libro ha avuto una strana sorte perché, invece di essere distribuito nelle librerie con la poesia, venne messo nella sezioni delle librerie dedicate al cinema. Non so ancora l’esito di questo libro e spero che abbia avuto il successo che si meritava e che io possa fare parte, come desidero da tempo, della categoria cinema e non della categoria poesia” (4)
Con queste premesse, si comprendono bene le difficoltà che insorgono nel cercare di mettere ordine e di dare sistematicità ad una produzione programmaticamente semiclandestina. [Maurizio Festanti – Antonella Mollo - Biblioteca Panizzi Reggio Emilia]
VIDEOR 2di Videor Rome 178 visualizzazionihttp://videorlab.blogspot.com/2010/03/videor.html
in questo numero: * Giovanna Bemporad * Giorgio Caproni * Marco Caporali * Franco Cavano * Massimo Celani * Corrado Costa * Gregory Corso * Amelia Rosselli * Nino De Rose * Giovanni Fontana * Elio Pagliarani * Vito Riviello * Beppe Salvia * Guido Galeno * Edoardo Sanguineti * Toti Scialoja * Gino Scartaghiande * Adriano Spatola * Patrizia Vicinelli
sabato 9 giugno 2012
venerdì 12 agosto 2011
Videor+
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sabato 25 giugno 2011
giovedì 23 giugno 2011
La trappola
SERAFICCHIO ha aggiunto
un commento
su La costruzione della trappola:
cambia pusher, questo
ti sta fragando
domenica 20 marzo 2011
Registrazioni a La Tana della Volpe
mamasinarella ha aggiunto un commento su dario bellezza 01:

Ma chi e' l'autore del video ?
Sono rarissimi i video su Bellezza.
Grazie del contributo.
Registrazioni a La Tana della Volpe (la Renardiere) a Roma di readings di poesia:
una copia fa parte dei materiali di redazione di Videor, la videorivista di poesia di Elio Pagliarani, 1988.

Roma via dei Giubbonari Foto Videorlab
Ma chi e' l'autore del video ?
Sono rarissimi i video su Bellezza.
Grazie del contributo.
Registrazioni a La Tana della Volpe (la Renardiere) a Roma di readings di poesia:


Roma via dei Giubbonari Foto Videorlab

giovedì 10 marzo 2011
Videor l'emittente di poesia
Videor l'emittente di poesia. Videor (*), fondata da Elio Pagliarani negli anni 80 (Nanni Balestrini Corrado Costa Vito Riviello Adriano Spatola) la rivista in questi anni ha sperimentato, dopo l' homevideo, tutte le forme dell'edizione digitale che ora la rete veloce rende possibili nel web. Strutturata su un database redazionale che origina dall'archivio video della videorivista su cassetta l'iniziativa di Amedeo Marra e Orazio Converso con la direzione di Elio Pagliarani propone dal punto di vista degli artisti e dei poeti le funzionalità di ogni emittente con le specifiche interazioni della telematica. Il processo mediatico s'ispira alla condivisione di testi, video, materiali sonori, immagini da parte dei suoi redattori e della community di riferimento con software e infrastrutture rootiers.itVedi Vera e propria rivista poetica in formato video con riflessioni, interventi critici e teorici, inchieste e letture di versi recitati dagli stessi autori (...) Nico Garrone, La Repubblica,1988 Tuttavia, si arresta sulla soglia della poesia: si fa al possibile neutrale e discreto testimone dell'evento poetico, colto nel momento della lettura, della 'mise en scene' della parola (...) Carlo Terrosi del DAMS , 1988 La scelta linguistica che emerge ha qualcosa a che vedere con quel genere di videoarte che predilige 'i tempi illimitati', i tempi 'morti' come programmatica negazione del tempo 'scarso' profondamente sentito ed esibito dai consumi di massa Alberto Abruzzese, Espresso 1989. Poesia che non invita, per citare Delfini, mentre Videor di fatto invita al canto, al riso, all'elaborazione, all'impegno di parola. Massimo Celani, Il verso che viene dal video, Il video che viene dal verso, 1988
Alberto Abruzzese stimolato dalla prima recensione di Massimo Celani ("Il verso che viene dal video, il video che viene dal verso", Videor n°1)
L'ESPRESSO * POESIA di Alberto Abruzzese
Il verso del video
E' un esperimento interessante. Può essere l'inizio di un piccolo mercato "lirico" per chi possiede videoregistratori o lettori. Sono uscite le prime due cassette ("Videor", videorivista di poesia diretta da Elio Pagliarani) in cui poeti come Balestrini, Costa, Riviello, Spatola e molti altri si sono raccolti intorno ad una iniziativa (La Camera Blue di Roma) volta a proporre l'intrusione dell' 'immagine della voce" nella comunicazione televisiva.
La scelta linguistica che emerge ha qualcosa a che vedere con quel genere di videoarte che predilige i. "tempi illimitati " i "tempi morti" come programmatica negazione critica del tempo "scarso" profondamente sentito ed esibito dai consumi di massa.
In sostanza "Videor" si rivolge a un pubblico di "simili", usa il video come salotto, al massimo una piazza; anzi "piazzetta" per letture e conversazioni sulla poesia e sui poeti (sempre più "opera" essi stessi).
Nel ricorso a corpi e parole, private di ogni "decorazione" e di ogni "sceneggiatura", "Videor" ha da vendere non solo l'esibizione di una tradizione in pericolo (e magari di una "subcultura" accecata da un mondo per lei non più comprensibile), ma anche l'attrattiva di un linguaggio pieno di "vuoti","disperso", "disperato", che può incuriosire, ipnotizzare il pubblico dei non-iniziati (un poco come le aste televisive notturne "rapiscono" anche chi non vuole comprare...). Ma può anche funzionare da "'scuola", da "tirocinio" per i poeti stessi, se resi insoddisfatti dall'uso del video come puro e semplice specchio in cui riflettersi, perché costretti comunque dal mezzo audiovisivo a confrontarsi con ritmi e sostanze diverse, a ragionare con l'epoca dell'elettronica non dall'esterno ma, volenti o nolenti, sapienti o incoscienti, dall'interno. Nel suo "gorgo"..."naufragio" o "zattera" che sia .
VIDEOR, a cura di Elio Pagliarani.
La Camera B/ue, lire 30 mila, nelle Librerie Feltrinelli L' Espresso 9 aprile 1989
Il verso del video
E' un esperimento interessante. Può essere l'inizio di un piccolo mercato "lirico" per chi possiede videoregistratori o lettori. Sono uscite le prime due cassette ("Videor", videorivista di poesia diretta da Elio Pagliarani) in cui poeti come Balestrini, Costa, Riviello, Spatola e molti altri si sono raccolti intorno ad una iniziativa (La Camera Blue di Roma) volta a proporre l'intrusione dell' 'immagine della voce" nella comunicazione televisiva.
La scelta linguistica che emerge ha qualcosa a che vedere con quel genere di videoarte che predilige i. "tempi illimitati " i "tempi morti" come programmatica negazione critica del tempo "scarso" profondamente sentito ed esibito dai consumi di massa.
In sostanza "Videor" si rivolge a un pubblico di "simili", usa il video come salotto, al massimo una piazza; anzi "piazzetta" per letture e conversazioni sulla poesia e sui poeti (sempre più "opera" essi stessi).
Nel ricorso a corpi e parole, private di ogni "decorazione" e di ogni "sceneggiatura", "Videor" ha da vendere non solo l'esibizione di una tradizione in pericolo (e magari di una "subcultura" accecata da un mondo per lei non più comprensibile), ma anche l'attrattiva di un linguaggio pieno di "vuoti","disperso", "disperato", che può incuriosire, ipnotizzare il pubblico dei non-iniziati (un poco come le aste televisive notturne "rapiscono" anche chi non vuole comprare...). Ma può anche funzionare da "'scuola", da "tirocinio" per i poeti stessi, se resi insoddisfatti dall'uso del video come puro e semplice specchio in cui riflettersi, perché costretti comunque dal mezzo audiovisivo a confrontarsi con ritmi e sostanze diverse, a ragionare con l'epoca dell'elettronica non dall'esterno ma, volenti o nolenti, sapienti o incoscienti, dall'interno. Nel suo "gorgo"..."naufragio" o "zattera" che sia .
VIDEOR, a cura di Elio Pagliarani.
La Camera B/ue, lire 30 mila, nelle Librerie Feltrinelli L' Espresso 9 aprile 1989
sabato 1 gennaio 2011
Una macchina per scrivere poesia
"Libri in Campo": stasera alle 21.30 "Una macchina per scrivere poesia", a cura di "Videor e la telematica" e dell' Agenzia Lacab. In piazza Campo de' Fiori, ingresso libero.
(19 luglio 1996) - Corriere della Sera
mercoledì 22 dicembre 2010
Due poeti e le anguille di Comacchio
Quant'è bizzarro e giudizioso il caso, certe volte. Fortuite coincidenze editoriali ci hanno rimesso sotto gli occhi l'opera poetica di due scrittori diversissimi e ciò nondimeno individuabili nella medesima costellazione: Antonio Delfini (1908-1963) e Corrado Costa (1929-1991). Potremmo chiamarli: quelli dall'immaginazione eccentrica, i giocolieri malinconici e stravaganti (malinconia d'impronta baudelairiana), i marginali per vocazione. Ma, oltre questa generica collocazione, si danno alcuni motivi per accostarli e per capire ciò che li collega pur essendo tanto diversi.
Di Delfini, che è sempre stato e resta un autore di culto per una cerchia di lettori affezionati, sono soprattutto noti gli incantevoli racconti. Le sue Poesie della fine del mondo, pubblicate da Feltrinelli nel 1961, le si è lasciate cadere nell'oblio per decenni. Strana indifferenza verso un libro singolar-profetico, villano, inferocito e tenero, perennemente provocatorio e liberatorio. Gli scritti sottilmente funamboli e i disegni di Corrado Costa erano conosciuti, e nemmeno sempre, nell'ambito e nei dintorni della neoavanguardia. Sparsi la maggior parte in piccole riviste, plaquettes, cataloghi di gallerie d'arte, stampe per pochi amatori e amici, ci auguravamo nel '91 in queste pagine che qualcuno li raccogliesse in volume.
Di Delfini, che è sempre stato e resta un autore di culto per una cerchia di lettori affezionati, sono soprattutto noti gli incantevoli racconti. Le sue Poesie della fine del mondo, pubblicate da Feltrinelli nel 1961, le si è lasciate cadere nell'oblio per decenni. Strana indifferenza verso un libro singolar-profetico, villano, inferocito e tenero, perennemente provocatorio e liberatorio. Gli scritti sottilmente funamboli e i disegni di Corrado Costa erano conosciuti, e nemmeno sempre, nell'ambito e nei dintorni della neoavanguardia. Sparsi la maggior parte in piccole riviste, plaquettes, cataloghi di gallerie d'arte, stampe per pochi amatori e amici, ci auguravamo nel '91 in queste pagine che qualcuno li raccogliesse in volume.
Hanno pensato due piccoli editori a far apparire, pressoché contemporaneamente, la ristampa delle poesie delfiniane e una buona antologia dei testi paradossali e fantasiosamente enigmatici di Costa. Pubblica Poesie della fine del mondo e Poesie escluse, a cura di Daniele Garbuglia, la Quodlibet (Macerata, Vicolo Ulissi 4; pagg. 144, lire 22.000). Cose che sono parole che restano, testi e disegni di Corrado Costa a cura di Aldo Tagliaferri, esce da Diàbasis (Reggio Emilia, viale Isonzo 8; pagg. 204, lire 30.000). È giusto segnalare che due Biblioteche civiche - quella di Modena dedicata appunto a Delfini e la Panizzi di Reggio Emilia - hanno contribuito alle spese di edizione.Delfini era modenese. E Costa, nato in provincia di Parma a pochi passi dal territorio di Reggio, è cresciuto e ha sempre vissuto in quest'ultima città.
Ai tempi del Gruppo ’63, Costa proponeva di fondare «il gruppo dei poeti estensi, sotto l'egida di Ciro Menotti, contro i poeti di Parma». Tra i quali si distinguevano, inutile dirlo, influenti detrattori della neoavanguardia. E Delfini, per via di una devastante delusione amorosa, prese a odiare Parma con tale furore che non si contentò delle ingiurie e invettive scatenate nelle Poesie della fine del mondo, ma scrisse un avventuroso e attraente saggio, pubblicato nella rivista Il Verri, per dimostrare che La chartreuse de Parme di Stendhal era in realtà ispirato da personaggi ed eventi della cronaca modenese.
Costa conobbe di persona Delfini nel 1962 e lo invitò «a mangiare le anguille a Comacchio». Episodio così poco trascurabile che lo ricordò nel 1989 in una allegra autobiografia lunga appena due pagine. I due mattocchi emiliani, sebbene divisi da una generazione e alquanto dissimili per temperamento, avevano origini comuni nel surrealismo e nella patafisica, condividevano una segreta stramberia di visioni, che poi manifestavano in forme opposte e ugualmente radicali.
Spero che Poesie della fine del mondo e l’antologia di Costa non patiscano troppo l’insufficiente distribuzione nelle librerie che affligge tutti i piccoli editori. Perciò ho indicato più sopra l’indirizzo di Quodlibet e Diàbasis (casuale e forse non insignificante affinità nel gusto «umanistico» della denominazione, come per dire: siamo piccoli, ma speciali). Insomma ad autori ritenuti eccentrici e marginali rispondono editori fieri di dichiararsi eccentrici e marginali anche nel nome.
Un buon lettore è per definizione versatile e flessibile; e ha imparato in qualche modo, per istinto o riflessione, che i buoni poeti mirano, usando le parole, a oltrepassarne il senso. Perfino il linguaggio osceno, poniamo, nella potenza espressiva di un Gioachino Belli, acquista una impensata valenza comico-tragica. Ora, l’irrisione esulcerata e forsennatamente grottesca di Delfini, e lo stile leggero, parodico-concettuale di Costa, derivanti tutt’e due dai rami patafisico-surreali, risultano, anziché marginali, centralissimi, se siamo disposti a cogliere il piacere delle loro opposte forme. «Viviamo di catastrofi», constatò con pacata ilarità il fondatore della patafisica Alfred Jarry.
L’impulso profetico-catastrofico travolge e al tempo stesso sorregge le poesie di Delfini nel furore e nel gioco dell’insensatezza, pulsante di quel senso sfigurato che soltanto la poesia vi scopre. Corrado Costa muove dalla stessa percezione del mondo sfregiato da una ricognizione critica del personaggio poetico moderno, quell’antieroe minacciato dall’orrore e dall’assurdo che fa la sua prima apparizione nelle Fleurs du Mal di Baudelaire.
Non per caso la prima raccolta di Costa è intitolata Pseudo-baudelaire (Scheiwiller 1964). In quei testi di esordio si consuma la catastrofe del linguaggio simbolico. Il poeta batte e ribatte su una situazione di pericolo estremo: oggi niente è più plausibile. Il Male è diventato un sosia del Bene (famosa poesia «I due passanti»: quello distinto con il vestito grigio e quello distinto con il vestito grigio, «uno che tortura e l’altro senza speranza»). Giustificare la storia significa eleggere il carnefice a vittima del Sistema. Non si distingue più il giusto dal giustiziere; «non è previsto ai vinti morire per nessuna vittoria/ l’esecutore resta ancora in carica pro e contro i fucilati».
Poiché non c’è altro da fare per smascherare l’ambiguità del linguaggio simbolico che pretende di significare questa situazione, Costa si avvierà dopo Pseudobaudelaire verso un’esperienza ulteriore: il poeta si dedicherà a svuotare le parole di tutte le significazioni fittizie, le spoglierà di ogni intenzione simbolica. Ora le parole più semplici e nude predicano senza trucchi espressivi il concreto invisibile, la sfuggente totalità in cui abitano; la complessità e la fragilità intere della situazione. Proviamo a leggere questa «Conversazione da solo», che a prima vista può sembrare un gioco di destrezza concettuale:
Invece è proprio quest’ultima che Delfini aggredisce inventando i suoi toni più grandiosi nell’invettiva, nella farsa del nonsense, nel grand-guignol (vedi la poesia «O Goro» tra le escluse, che è anche un truce allucinato racconto), nel turpiloquio, nella derisoria ricorrente minaccia di guerra agli ignobili e di vendetta contro gli «assassini».
Il poeta lotta contro le parole e contro gli assassini degli uomini e delle parole. Oscilla tra la disperazione furente e l’esaltazione: «È inutile distruggere gli anni, / inutile la Gran Situazione: / Non c’è più salvezza – più niente. / Rivoluzione, parola trombone» (scrive nel novembre 1958). -«Oggi sono il capo di una grande rivolta. / Mi ascoltan gli uccelli nel cielo / mi ascoltano i cani stavolta!» (conclude la poesia «Torna la liberta» dell’agosto 1959). A rendere abitabile il mondo che sta finendo penseranno gli squadroni dei fedeli d’Amore, guidati da «una Bambina con una rosa in mano», figlia di Guido Cavalcanti! Gli ignobili imperversano e le parole del poeta sono la realtà:
Io trovo superba la conclusione delle Poesie della fine del mondo: Han suonato alla porta: / Niente ordini per noi comandanti. / Niente ordini per noi qui del cielo.
Costa conobbe di persona Delfini nel 1962 e lo invitò «a mangiare le anguille a Comacchio». Episodio così poco trascurabile che lo ricordò nel 1989 in una allegra autobiografia lunga appena due pagine. I due mattocchi emiliani, sebbene divisi da una generazione e alquanto dissimili per temperamento, avevano origini comuni nel surrealismo e nella patafisica, condividevano una segreta stramberia di visioni, che poi manifestavano in forme opposte e ugualmente radicali.
Spero che Poesie della fine del mondo e l’antologia di Costa non patiscano troppo l’insufficiente distribuzione nelle librerie che affligge tutti i piccoli editori. Perciò ho indicato più sopra l’indirizzo di Quodlibet e Diàbasis (casuale e forse non insignificante affinità nel gusto «umanistico» della denominazione, come per dire: siamo piccoli, ma speciali). Insomma ad autori ritenuti eccentrici e marginali rispondono editori fieri di dichiararsi eccentrici e marginali anche nel nome.
Un buon lettore è per definizione versatile e flessibile; e ha imparato in qualche modo, per istinto o riflessione, che i buoni poeti mirano, usando le parole, a oltrepassarne il senso. Perfino il linguaggio osceno, poniamo, nella potenza espressiva di un Gioachino Belli, acquista una impensata valenza comico-tragica. Ora, l’irrisione esulcerata e forsennatamente grottesca di Delfini, e lo stile leggero, parodico-concettuale di Costa, derivanti tutt’e due dai rami patafisico-surreali, risultano, anziché marginali, centralissimi, se siamo disposti a cogliere il piacere delle loro opposte forme. «Viviamo di catastrofi», constatò con pacata ilarità il fondatore della patafisica Alfred Jarry.
L’impulso profetico-catastrofico travolge e al tempo stesso sorregge le poesie di Delfini nel furore e nel gioco dell’insensatezza, pulsante di quel senso sfigurato che soltanto la poesia vi scopre. Corrado Costa muove dalla stessa percezione del mondo sfregiato da una ricognizione critica del personaggio poetico moderno, quell’antieroe minacciato dall’orrore e dall’assurdo che fa la sua prima apparizione nelle Fleurs du Mal di Baudelaire.
Non per caso la prima raccolta di Costa è intitolata Pseudo-baudelaire (Scheiwiller 1964). In quei testi di esordio si consuma la catastrofe del linguaggio simbolico. Il poeta batte e ribatte su una situazione di pericolo estremo: oggi niente è più plausibile. Il Male è diventato un sosia del Bene (famosa poesia «I due passanti»: quello distinto con il vestito grigio e quello distinto con il vestito grigio, «uno che tortura e l’altro senza speranza»). Giustificare la storia significa eleggere il carnefice a vittima del Sistema. Non si distingue più il giusto dal giustiziere; «non è previsto ai vinti morire per nessuna vittoria/ l’esecutore resta ancora in carica pro e contro i fucilati».
Poiché non c’è altro da fare per smascherare l’ambiguità del linguaggio simbolico che pretende di significare questa situazione, Costa si avvierà dopo Pseudobaudelaire verso un’esperienza ulteriore: il poeta si dedicherà a svuotare le parole di tutte le significazioni fittizie, le spoglierà di ogni intenzione simbolica. Ora le parole più semplici e nude predicano senza trucchi espressivi il concreto invisibile, la sfuggente totalità in cui abitano; la complessità e la fragilità intere della situazione. Proviamo a leggere questa «Conversazione da solo», che a prima vista può sembrare un gioco di destrezza concettuale:
ci sono delle cose che sono di fronte a questa pagina aperta / collegate ad altre che sono dietro le spalle / ci sono delle cose di fronte a questa pagina aperta / che sono collegate / alle cose che mancano / le cose come le cose / al centro c’è il tuo posto / al tuo posto non c’è nessuno.Non è piuttosto un lucido autoritratto del pensiero che si stacca da sé, facendo il giro di ciò che è presente, di ciò che è virtuale, di ciò che manca e di ciò (il soggetto, l’io) che viene a mancare? Non c’è dubbio che Costa ci conduce in un limbo spaesato, che sta oltre quella realtà degradata e orrenda di cui non si può più parlare.
Invece è proprio quest’ultima che Delfini aggredisce inventando i suoi toni più grandiosi nell’invettiva, nella farsa del nonsense, nel grand-guignol (vedi la poesia «O Goro» tra le escluse, che è anche un truce allucinato racconto), nel turpiloquio, nella derisoria ricorrente minaccia di guerra agli ignobili e di vendetta contro gli «assassini».
Il poeta lotta contro le parole e contro gli assassini degli uomini e delle parole. Oscilla tra la disperazione furente e l’esaltazione: «È inutile distruggere gli anni, / inutile la Gran Situazione: / Non c’è più salvezza – più niente. / Rivoluzione, parola trombone» (scrive nel novembre 1958). -«Oggi sono il capo di una grande rivolta. / Mi ascoltan gli uccelli nel cielo / mi ascoltano i cani stavolta!» (conclude la poesia «Torna la liberta» dell’agosto 1959). A rendere abitabile il mondo che sta finendo penseranno gli squadroni dei fedeli d’Amore, guidati da «una Bambina con una rosa in mano», figlia di Guido Cavalcanti! Gli ignobili imperversano e le parole del poeta sono la realtà:
Mercanti, banchieri, avvocati, ingegneri, cocchieri, / non siete che polvere di rotti bicchieri, / di cui faremo carta vetrata per sfregiare la faccia / dei nostri irricordabili ricordi di ieri.Delle parole Delfini brucia le scorie morte: «È mio dovere scrivere la mala poesia». Il suo anticanzoniere amoroso e civile è una rivolta iperbolica contro gli oltraggi della vita-morte. Digrignando, il poeta se la gode infilando nei versi collages, filastrocche oscene, deformazioni nominali, metaplasmi e metatesi burlesche. Ma a tratti Delfini è mirabilmente patetico e preso da una sbandata pietà per l’impazzare del Male. Pietà che, non sia mai, potrebbe colpirlo per la «sozza e immonda» antibeatrice che è la sua musa alla rovescia:
Se tu ti ammalassi e tu chiedessi pietà… / che orrore dovertela concedere che orrore! / Non ti ammalare – ti prego – non ti rinsavire / non diventare santa non ti riscattare! / Sarebbe veramente schifoso doverti perdonare. / La mia vendetta che domando per te è questa: / come adesso sei e fosti, stronza resta!Mentre prega, invoca, maledice, il poeta si ricorda di Baudelaire, «della sera che dice sempre io t’amo» (On se souvient de Baudelaire la nuit), si ricorda dell’infinito e dell’oblio.
Io trovo superba la conclusione delle Poesie della fine del mondo: Han suonato alla porta: / Niente ordini per noi comandanti. / Niente ordini per noi qui del cielo.
Li si legga pure poco e male, i poeti non possono essere smentiti.
[«La Repubblica» 22-09-1995]
lunedì 6 dicembre 2010
domenica 24 ottobre 2010
Fiori e tv
"È nato a Mulino di Bazzano (PR) nel 1929 ed è morto nel 1991 a Reggio Emilia, città dove ha vissuto ed esercitato la professione di avvocato. Nei primi anni sessanta stringe una duratura amicizia con Giorgio Celli, Antonio Porta, Nanni Scolari (allievo di Luciano Anceschi) e Adriano Spatola, coi quali fonda «Malebolge», una rivista di letteratura d'avanguardia, parasurrealista. Più tardi entra nel Gruppo 63, esperienza che Costa sottolinea ad ogni occasione, anche se resta ai margini del gruppo, considerato un dilettante d'ingegno. Dall'esperienza del "Gruppo 63" la schiera di amici s'infoltisce con Nanni Balestrini (che lo introduce nell'ambiente del «Verri», la rivista di Anceschi), Giulia Niccolai, Patrizia Vicinelli e Alfredo Giuliani (che lo invita a partecipare alla fondazione di «Quindici»)." http://www.edizioniriccardi.com/Costa.htm
ellEbOro
"Ma poteva essere molto più duro ed esplicito di fronte allo stesso Luciano Anceschi, peraltro riconosciuto maestro. La questione era per lui, in definitiva, di una semplicità disarmante.

Cercava fonti di prima mano, non notizie riportate. Era attratto dalle forme estreme e residuali dei linguaggi, dai nuclei periferici e seminascosti dove operavano gruppi di artisti organizzati fuori dall’ufficialità. Lo studio non gli procurò decisive rivelazioni, ma solo alcuni e determinati mezzi intellettuali. Il suo fine era un altro: ciò che lo ha guidato, da subito, è stata la scelta della sua vita, quella di “volersi poeta”. Un’adozione fatale, che gli ha in ogni caso fornito un orientamento per tutte le scelte successive, compresa quella conoscitiva.
La chiusura interna ai sistemi ideologici e scientifici gli risultava soffocante
Era sempre la poesia a dare un senso al sapere e non viceversa.
Ma poesia era ciò che ti cambia la vita, una scelta senza deroghe che esigeva strategie e maschere, dissacrazioni e ricostruzioni, beffe allegrissime e drammi senza soluzione.
Una esperienza politica, come diceva Corrado Costa, ma prima ancora esistenziale. Da grande giocatore Adriano credeva nello spirituale dell’arte come nelle ludiche metamorfosi dello amatissimo Queneau. In definitiva il poeta che aveva scelto di essere coincideva con la persona che era, la figura e la maschera si sovrapponevano, andando a coincidere nel luogo in cui la sua opera si apriva necessariamente agli altri, creava spazi per eventi pubblici e di gruppo."
http://draft.blogger.com/post-create.g?blogID=3243285248739227328
domenica 13 giugno 2010
Né film né libro, è televisione sequenziale ma
Né film né libro, è televisione sequenziale ma che può essere ripresa in rilettura, fermata e rivista, e per questo necessita di un ascolto pathologico in una intenzione discreta ... dagli Appunti di un Video-editore - Orazio Converso - 1989.
Videor nasce nel 1988 ed è diretta da Elio Pagliarani con Nanni Balestrini, Corrado Costa, Vito Riviello e Adriano Spatola.
Vera e propria rivista poetica in formato video con riflessioni, interventi critici e teorici, inchieste e letture di versi recitati dagli stessi autori (...) -Nico Garrone, La Repubblica -
tuttavia, si arresta sulla soglia della poesia: si fa al possibile neutrale e discreto testimone dell'evento poetico, colto nel momento della lettura, della 'mise en scene della parola (...) - Carlo Terrosi del DAMS , 1988 -
La preziosa opacitià della scrittura nel mondo della comunicazione e della trasparenza - l'immagine della voce in televisione (...) retrocopertina Videor 1, maggio 1988 -
La scelta linguistica che emerge ha qualcosa a che vedere con quel genere di videoarte che predilige 'i tempi illimitati', i tempi 'morti' come programmatica negazione del tempo 'scarso' profondamente sentito ed esibito dai consumi di massa - Alberto Abruzzese, Espresso 1989.
Poesia che non invita... - per citare Delfini, Pagliarani, Celani
(vedi Il verso che viene dal video. Il video che viene dal verso) ...
Mentre Videor di fatto invita al canto, al riso, all'elaborazione, all'impegno di parola.
Rivista multimediale anche per la compresenza di diversi sistemi e supporti tecnici di registrazione e di trasmissione, e per la compresenza di diversi sistemi e linguaggi simbolici di codificazione, secondo una combinatoria testuale che tende ad integrare le loro diverse potenzialità rappresentative semantiche ed espressive - Multimedia 1991.
Sempre dagli Appunti di un Video-editore per delineare il carattere di questo 'mercato lirico' di questa piazza, anzi 'piazzetta' per letture e conversazioni sulla poesia e sui poeti. le varie fasi dell'edizione puntano a mettere a fuoco lo spettatore di poesia dell'era post-performativa (cinico, distratto, smaliziato, ma con aspettative forti quanto inconsapevoli) per liberarlo da tempi, spazi, logiche filmiche o teatrali e costringerlo nel gioco televisivo dove l'azione della poesia non sia affidata alla rituale 'magia' della letteratura poetica, ma alla pervasività del mezzo, della sua sconvolgente ottusità, alla trasparenza della sua rappresentazione, alla banalità e alla estrema naturalezza della sua tecnica. Insomma accendere la telecamera e lasciar fare alla poesia: il video-editor è spettatore e sta a vedere.
Semplice, no?
Videor nasce nel 1988 ed è diretta da Elio Pagliarani con Nanni Balestrini, Corrado Costa, Vito Riviello e Adriano Spatola.
Vera e propria rivista poetica in formato video con riflessioni, interventi critici e teorici, inchieste e letture di versi recitati dagli stessi autori (...) -Nico Garrone, La Repubblica -
tuttavia, si arresta sulla soglia della poesia: si fa al possibile neutrale e discreto testimone dell'evento poetico, colto nel momento della lettura, della 'mise en scene della parola (...) - Carlo Terrosi del DAMS , 1988 -
La preziosa opacitià della scrittura nel mondo della comunicazione e della trasparenza - l'immagine della voce in televisione (...) retrocopertina Videor 1, maggio 1988 -
La scelta linguistica che emerge ha qualcosa a che vedere con quel genere di videoarte che predilige 'i tempi illimitati', i tempi 'morti' come programmatica negazione del tempo 'scarso' profondamente sentito ed esibito dai consumi di massa - Alberto Abruzzese, Espresso 1989.
Poesia che non invita... - per citare Delfini, Pagliarani, Celani
(vedi Il verso che viene dal video. Il video che viene dal verso) ...
Mentre Videor di fatto invita al canto, al riso, all'elaborazione, all'impegno di parola.
Rivista multimediale anche per la compresenza di diversi sistemi e supporti tecnici di registrazione e di trasmissione, e per la compresenza di diversi sistemi e linguaggi simbolici di codificazione, secondo una combinatoria testuale che tende ad integrare le loro diverse potenzialità rappresentative semantiche ed espressive - Multimedia 1991.
Sempre dagli Appunti di un Video-editore per delineare il carattere di questo 'mercato lirico' di questa piazza, anzi 'piazzetta' per letture e conversazioni sulla poesia e sui poeti. le varie fasi dell'edizione puntano a mettere a fuoco lo spettatore di poesia dell'era post-performativa (cinico, distratto, smaliziato, ma con aspettative forti quanto inconsapevoli) per liberarlo da tempi, spazi, logiche filmiche o teatrali e costringerlo nel gioco televisivo dove l'azione della poesia non sia affidata alla rituale 'magia' della letteratura poetica, ma alla pervasività del mezzo, della sua sconvolgente ottusità, alla trasparenza della sua rappresentazione, alla banalità e alla estrema naturalezza della sua tecnica. Insomma accendere la telecamera e lasciar fare alla poesia: il video-editor è spettatore e sta a vedere.
Semplice, no?
martedì 9 marzo 2010
report: Videomakers went around with a camera and filmed
Riceviamo dalla Pia Donna e volentieri pubblichiamo (in Globish?)
Loose tv. Videomakers went around with a camera and filmed everything happened under their eyes, as random shootings. All these things before digital television and digital radio.
Videomakers’ work consisted in accumulating videotapes, taking pieces from the videos in accordance with the moment’s wit, mending at random and putting them in a container that, automatically and casually, every 8,4,3,2 seconds presented and published them again.
There was not a rigorous logic behind that process: it was a sort of visual collage in which audio, video and text scraps ran without intermission. In that way was born the “loose tv”, “the mad television”, the only fin de siecle experimental project that, not only went on air on local channels, but gave also to spectators the possibility to make the shifting programming.
Absolutely revolutionary, the tv itself zapped quickly before you could do it with your remote control. It was the only place where you could see Giorgio Massacra engaged in his “interview to the goat” for five minutes and in the successive moments see excerpts from “Sex, Lies, and Videotape” by Steven Soderbergh, ten minutes after you felt so numb that you couldn’t barely know what went throughout your optic nerve, apart that was going on air something like “Gilda in the Cannaruti’s laboratory”.
“Loose tv” ceased going on air few months after, someone still works to that project. I ask myself why this, which was one of the few intelligent ideas ever came alive in Italy, was never subsidized by anyone.
La tivvù sciolta.
" videomakers se ne andavano in giro con una cinepresa e riprendevano tutto quello che capitava loro sott’occhio, a mò di riprese random. Tutto questo prima della televisione e della radio digitale. Il loro lavoro era quello di accumulare videocassette, prendere spezzoni di video secondo il genio del momento, ricucirli a casaccio e piazzarli in un contenitore che automaticamente e casualmente li riproponeva e pubblicava continuamente ogni 8,4,3,2.secondi. Non esisteva una logica precisa: era una specie di collage visivo in cui frammenti di audio, video e testo scorrevano senza sosta.
In questo modo nasceva la “loose tv”, la televisione folle, l’unico progetto sperimentale di fine secolo che, non solo andava in onda su reti locali, ma dava anche ai telespettatori la possibilità di farne il palinsesto instabile. Rivoluzionario, altrochè, era la tivvù stessa a fare zapping prim’ancora che tu la facessi col telecomando. Era l’unico posto in cui potevi vedere Giorgio Massacra impegnato nella sua “intervista alla capra” per cinque minuti prima di fare riprese sul Monte Cocuzzo e negli attimi successivi vedere spezzoni di “Sesso, bugie e videotape” di Soderbergh , dieci minuti più tardi eri talmente stordito da non sapere minimamente cosa stesse passando per il tuo nervo ottico, a parte che andava in onda qualcosa come “Gilda nel laboratorio dei Cannaruti”. La “loose tv” smise di andare in onda qualche mese dopo, qualcuno però ancora lavora a quel progetto.
Mi chiedo come mai questa, che fu una delle poche idee intelligenti venute fuori in Italia, non fu mai sovvenzionata da anima viva." Maria Pia Cristaldi
Loose tv. Videomakers went around with a camera and filmed everything happened under their eyes, as random shootings. All these things before digital television and digital radio.
Videomakers’ work consisted in accumulating videotapes, taking pieces from the videos in accordance with the moment’s wit, mending at random and putting them in a container that, automatically and casually, every 8,4,3,2 seconds presented and published them again.
There was not a rigorous logic behind that process: it was a sort of visual collage in which audio, video and text scraps ran without intermission. In that way was born the “loose tv”, “the mad television”, the only fin de siecle experimental project that, not only went on air on local channels, but gave also to spectators the possibility to make the shifting programming.
Absolutely revolutionary, the tv itself zapped quickly before you could do it with your remote control. It was the only place where you could see Giorgio Massacra engaged in his “interview to the goat” for five minutes and in the successive moments see excerpts from “Sex, Lies, and Videotape” by Steven Soderbergh, ten minutes after you felt so numb that you couldn’t barely know what went throughout your optic nerve, apart that was going on air something like “Gilda in the Cannaruti’s laboratory”.
“Loose tv” ceased going on air few months after, someone still works to that project. I ask myself why this, which was one of the few intelligent ideas ever came alive in Italy, was never subsidized by anyone.
La tivvù sciolta.
" videomakers se ne andavano in giro con una cinepresa e riprendevano tutto quello che capitava loro sott’occhio, a mò di riprese random. Tutto questo prima della televisione e della radio digitale. Il loro lavoro era quello di accumulare videocassette, prendere spezzoni di video secondo il genio del momento, ricucirli a casaccio e piazzarli in un contenitore che automaticamente e casualmente li riproponeva e pubblicava continuamente ogni 8,4,3,2.secondi. Non esisteva una logica precisa: era una specie di collage visivo in cui frammenti di audio, video e testo scorrevano senza sosta.
In questo modo nasceva la “loose tv”, la televisione folle, l’unico progetto sperimentale di fine secolo che, non solo andava in onda su reti locali, ma dava anche ai telespettatori la possibilità di farne il palinsesto instabile. Rivoluzionario, altrochè, era la tivvù stessa a fare zapping prim’ancora che tu la facessi col telecomando. Era l’unico posto in cui potevi vedere Giorgio Massacra impegnato nella sua “intervista alla capra” per cinque minuti prima di fare riprese sul Monte Cocuzzo e negli attimi successivi vedere spezzoni di “Sesso, bugie e videotape” di Soderbergh , dieci minuti più tardi eri talmente stordito da non sapere minimamente cosa stesse passando per il tuo nervo ottico, a parte che andava in onda qualcosa come “Gilda nel laboratorio dei Cannaruti”. La “loose tv” smise di andare in onda qualche mese dopo, qualcuno però ancora lavora a quel progetto.
Mi chiedo come mai questa, che fu una delle poche idee intelligenti venute fuori in Italia, non fu mai sovvenzionata da anima viva." Maria Pia Cristaldi
giovedì 29 gennaio 2009
sabato 10 gennaio 2009
giovedì 27 novembre 2008
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