domenica 7 aprile 2013

la Fanciulla di Aughrim

Si volevano bene, lei e Michael, e facevano lunghe passeggiate, come si fa in campagna, like the way they do in the country. Niente di più. Michael le cantava la Fanciulla di Aughrim, la ballata che l’aveva colta di sorpresa scendendo le scale alla fine della festa, la musica distante giunta a chiedere giustizia dalle profondità del tempo. Debole di salute, Michael aveva avuto la notizia che Gretta avrebbe lasciato Galway, per andare a studiare in convento. Una notte d’inverno, la notte prima della partenza, aveva abbandonato il suo letto di malato – ormai non poteva nemmeno più uscire – per andare nel giardino di Gretta e tirare dei sassolini sotto la sua finestra. Gretta lo aveva trovato in giardino, fradicio di pioggia, e lo aveva implorato di ritornare a casa, che sarebbe morto a stare fuori con quel tempo, ma lui le aveva risposto che non gli importava nulla di vivere (he said he did not want to live: la straordinaria semplicità verbale del racconto di Gretta è la prima grande invenzione linguistica di Joyce, non inferiore, per genialità, alle più labirintiche fioriture dell’Ulisse e di Finnegan’s wake ). E in effetti, una settimana dopo era già morto.

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