giovedì 14 giugno 2012

[Scuola Pagliarani 2012] Ode a Ernesto Ragazzoni

Ernesto Ragazzoni
a cura di Lorenzo Mondohttp://www.novara.com/letteratura/bibliografia900/ragazzoni.htm

Ragazzoni,..nelle redazioni di giornale resta qualche eco della sua leggenda: la fulmineità epigrammatica, la comica imitazione di personaggi famosi, le bizzarie del comportamento, le bevute... Forse si mandano ancora a memoria i pochi versi in cui resta impresso l'onesto blasone di un mestiere che ogni giorno sembra concludersi e ricominciare: «È finita. Il giornale è stampato - la rotativa s'affretta, - me ne vado col bavero alzato - dietro il fumo della sigaretta». Colpa del suo animo randagio, del talento dissipatorio, dell'incapacità di prendersi fino in fondo sul serio al cospetto di una realtà così alta come la poesia. Solo in grazia del «libertino» Cajumi possediamo un libro che raccoglie i suoi versi, lasciati inediti o sparsi su fogli dimenticati.
La fiducia piena nella poesia, l'ardimento di guardarla negli occhi, li troviamo nel Ragazzoni della giovinezza. Nato a Orta il 9 gennaio 1870, cresce a Novara dove il padre, possidente di terre, ufficiale dell'esercito, lo indirizza agli studi di ragioneria. Ma a soli 21 anni dà fuori una raccolta, Ombra, che porta l'impronta dominante della poesia carducciana (in altre due poesie, 8 maggio e I ribelli, che usciranno su fogli locali all'indomani delle repressioni del 1898, manifesta le sue simpatie per le vittime, per il socialismo). Ma è più importante il libro da lui pubblicato nel 1896, una scelta di notevolissime traduzioni da Poe in cui si avverte una precoce attenzione ai problemi dello stile e una fantasia metrica e lessicale di tutto rispetto. Nel 1901 diventa direttore della «Gazzetta di Novara», un bisettimanale conservatore e monarchico.
L'esperienza dura pochi mesi. Un suo editoriale, Il paese della muffa, veemente tirata contro la burocrazia e più in generale contro la grettezza piccoloborghese, scatena un putiferio. Ragazzoni trova un posto alla «Stampa» di Frassati, brucia le tappe della carriera. Nel 1904 è corrispondente da Parigi dove rimane, eccettuata una breve parentesi londinese, fino al 1918 quando approda al «Resto del Carlino" di Bologna e infine, nel 1919, al «Tempo» di Roma. «Rosicato» dalla cirrosi, come ebbe a confidare nel Mio funerale, muore a Torino il 5 gennaio 1920. Del superstite amore per la poesia aveva lasciato qualche traccia sul settimanale umoristico «Numero». Per il resto, bisogna cercarlo negli articoli dei quotidiani. La rubrica «La "film" parigina», con resoconti parodistici di società e di costume. Le interviste e i servizi da giornalista culturale, condotti spesso sul filo del paradosso, con un originale taglio stilistico e lampi espressionistici. Sul finire, articoli in cui alla scoperta dell'aria di Roma si affianca il ripiegamento nostalgico sulla terra nativa, sulle cose che durano (la natura, i costumi e i sentimenti schietti): pagine in cui la consueta propensione umoristica non esclude l'abbandono lirico, l'affioramento autobiografico.
Il corpo di poesie pubblicato da Cajumi non fornisce appoggio di date e sistemazione coerente. Soltanto una lettura interna permette di tracciare un verosimile percorso. Per buona parte si muovono in una prossimità gozzaniana, non senza imprestiti dall'area scapigliata e dannunziana. Ne sono indizio la disposizione sentimentale riduttiva che già insiste sul pedale dell'ironia, nell'azzardo beffardo delle rime, nella propensione a sliricizzare.
E ancora, l'irrisione della sogneria consolatoria e filistea dei Bevitori di stelle, la suggestione dell'«isola non trovata», la malinconia delle «rose sfogliate», la contaminazione tra sacro e profano nel vagheggiamento amoroso... Tutte cose espresse con sicura eleganza. Ma il Ragazzoni più vero è quello che nel capriccioso indugio sul suono delle parole, nella rapida e segmentata scansione del verso, nel gusto del ghiribizzo e dell'iperbole si pone ai limiti del surreale. Il soggiorno parigino gli offrirà l'occasione di scoprire se stesso, di individuare in una zona del simbolismo francese piegato verso lo humour e la parodia i suoi modi più congeniali. L'incontro decisivo è quello con Georges Fourest.
Alla Negresse blonde, uscita nel 1909, si ispirano, fino a ricalcarle, alcune delle più note ballate di Ragazzoni. Il fantasista Fourest, che definiva se stesso «fou d'epithète rare et de rythme et de rime - d'allitteration, de consonne d'appui», doveva far vibrare le sue corde. Ma anche quello che veniva recitato nelle allegre congreghe dei bistrot, tra il fumo del tabacco e le esalazioni dell'alcol. Nascono di qui La laude dei pacifici lapponi e dell'olio di merluzzo, De Africa, Il teorema di Pitagora, Elegia del Verme solitario, Il mio funerale. Una poesia omaggiata galantemente nella sua squisitezza linguistica e fonica, e nello stesso tempo gettata al vento come un colorato coriandolo. 
Siamo al Ragazzoni più originale, anche se ha bisogno di riscaldarsi ancora una volta all'universo del libro, a farsi partecipe di una poetica del «plagio» che ha i suoi antesignani in D'Annunzio e Gozzano. I vocaboli strani (famoso il leone «ruggibondo e divorier»), le rime inusuali, le trovate bislacche non si risolvono tuttavia in se stesse, in puro gioco verbale, ma rivelano, attraverso la resa mimetica o l'inatteso rovesciamento, la loro natura eversiva contro le convenzioni letterarie e sociali. 

Lo spirito anarchico del ragazzo del '98 non si è affievolito e affiora a momenti in modo esplicito. Come nell'aprostrofe al Senegalese venuto a morire sui campi della Marna e della Somme: «L'Europa qui ti prodiga - (giù la barbara zagaglia!) - la civile sua mitraglia - che già tanto suol nutrì». È il Ragazzoni che alla tristizia dei tempi, agli innumerevoli segni di catastrofe che si raccolgono intorno alla Grande Guerra, oppone ogni volta, a sigillare le sue strofe, le piccole, indifese e ormai assurde certezze dell'infanzia scolastica: «Ma il quadrato costrutto sovra l'ipotenusa - è la somma di quelli fatti sui due cateti». Fino al Miofunerale, dove le venature di tenerezza non cedono all'autocommiserazione, tanto meno alla palinodia. La sregolatezza, l'eccentricità, la bizzarria saputa del fool vengono rivendicate, con vividi fuochi d'artificio, anche in cospetto della morte. Sono questi, aldilà dei versi d'occasione, dei divertimenti «scandalosi» (L’apoteosi dei culi d'Orta), gli acquisti sicuri di quello che - rammentava Franco Antonicelli - resta il «solitario, forse unico «chansonnier» della nostra letteratura». 


 Bibliografia delle opere Ombra, Novara, Tipografia Operaia, 1891, Edgar Allan Poe traduzioni di poesie e prose in collaborazione con F. Garrone, Torino, Roux e Frassati, 1896, Poesie, a cura e con introduzione di A. Cajumi, Torino, Chiantore, 1927 (contiene anche le poesie tradotte da Poe), nuova edizione accresciuta Milano, Martello, 1956, Poesie e prose, a cura e con introduzione di L. Mondo, Milano, Scheiwiller, 1978, Poesie, a cura di P. Mauri, Milano, Mondadori, 1978, Le mie invisibilissime pagine, articoli del quotidiano «Il Tempo», a cura di A. Bujatti, Palermo, Sellerio, 1993; Buchi nella sabbia e pagine invisibili. Poesie e prose, a cura di R. Martinoni, introduzione di S. Vassalli, Torino, Einaudi, 2000.;



  Ben tappati dentro i poveri
ma fidati lor ricoveri,
mentre lento sui tizzoni
cuoce il lor desinaruzzo
i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.


Fuori, il vento piglia a schiaffi
quattro o cinque abeti squallidi:
gli orsi bianchi sono pallidi
pel gran freddo e si dan graffi
l'un con l'altro per distrarsi...
Oh! bisogna ricordarsi
che omai nevica da mesi;
fiumi e rivi presi al laccio
dell'inverno son di ghiaccio
(e che ghiaccio! perché il ghiaccio
è assai freddo in quei paesi);
ma che importa lor? ghiottoni
dallo stomaco di struzzo
i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.


E son là, raccolti, stretti,
padre, madre, zii, bambini
(battezziamoli lappini
i lapponi pargoletti?),
e poi c'è la nonna, il nonno,
qualche amico dei vicini;
ciascun preso un po' dal sonno
perché ha l'epa troppo piena
già di grasso di balena;
pure a nuove imbandigioni
ogni dente torna aguzzo,
e i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.


Beatissimi! fra poco
tutti quanti russeranno
in catasta a torno al fuoco,
poi doman si leveranno,
torneranno alla stess'opra,
mangeranno e riberranno
il buon olio di cui sopra,
e cosí per tutto l'anno,
sempre..... fin che moriranno.


Cosí svolgesi la loro
vita, piana e senza scosse,
senza mai quell'ansia d'oro
che noi muta in pelli-rosse;
senza il fiel, senza la bile
necessari all'uom civile.....
Ho da dirvelo? una smania
prepotente mi dilania,
ed invan da piú stagioni
in me dentro la rintuzzo:.....
vo in Lapponia tra i lapponi
a ber l'olio di merluzzo!

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