martedì 26 marzo 2013

Clea ad Alessandria


Una sottile disperazione invade l' anima del lettore quando comincia a rendersi conto che Il Quartetto di Alessandria di Lawrence Durrell (ha mezzo secolo, oramai, perché i quattro romanzi che lo compongono: Justine, Balthazar, Mountolive e Clea apparvero in sequenza dal 1957 al ' 60) è arrivato al momento in cui si consumeranno gli addii. Molti personaggi, come Melissa la ballerina del night-club, sono morti. Altri partiti. Altri, come il diplomatico Mountolive, sono invecchiati e partiranno. Altri, talmente trasformati da rendersi irriconoscibili: come la dea di questo romanzo, Justine. Adesso, fedele al duplice mandato che fin dall' epoca del suo fondatore ha esercitato su di sé e i suoi abitanti ed è consistito nell' inghiottire la memoria e nel decretare l' impossibilità dell' amore, Alessandria - la città costruita su un promontorio di ardesia come una diga per contenere la marea della tenebra africana, la città delle Cabala e di Kavafis, delle sette e dei credi, ma anche della dissipazione, non può far altro che inghiottire definitivamente se stessa, trasformarsi in un sogno, e decretare la fine di ogni amore. Infatti, è come in sogno che Darley, lo scrittore ferito nell' amore, può contemplarla dalle sponde dell' isoletta greca nella quale si è ritirato per cercare di districare il viluppo dei sentimenti e ricostruire gli avvenimenti e il tempo, nel momento in cui, insieme alla luce sfolgorante dell' Egeo, il romanzo che dobbiamo considerare uno dei capolavori del Novecento, muove i primi passi nell' impervio cammino degli anni ancora troppo vicini per poter essere considerati con distacco, gonfi ancora di ferite e di dolore. Il mare è azzurro, deserto, fluttua silenziosamente. Ma ecco che, in fondo, simile a un miraggio, sorge un altro mare blu cupo; e un cielo color perla nel quale si confondono il grigio dei palazzi europei e il bianco dei minareti e le pietre corrose dell' antico Faro; e le due anse perfette del porto; e, dietro al porto, la superba Corniche, con i tendoni colorati dei suoi caffè sotto i quali si assiepano i commercianti greci italiani e armeni, i finanzieri libanesi, i diplomatici francesi e inglesi, gli egiziani, gli ebrei Mentre in quel silenzio marino emerge il cigolio dei tram sui binari intasati di sabbia; si distingue la dolce voce del muezzin sospesa come un capello negli strati alti dell' aria; affiorano la cantilena del venditore d' acqua e il fruscio delle palme; si ode il gorgoglio del narghilé simile al singhiozzo di una colomba ferita; il suono dei passi delle donne velate; quello, provocato dal vento del deserto, contro le imposte ammuffite delle stanze bollenti; quello delle voci che, al mattino, nella fresca bottega del barbiere Memijan, profumata di acqua di rose, commentano i fatti di una città che non si deve sorprendere di nessun eccesso e di nulla... C' è un albergo, il Cecil, al centro della Corniche, nei cui specchi appare per la prima volta Justine, una delle tre donne amate da Darley (le altre sono Melissa e Clea). Così è descritta da Arnauti, l' uomo che lei ha sposato prima di Nessim: «Oscurità sopra bianco avorio marmoreo, capelli neri risplendenti, occhi profondi pieni di sospiri in cui il tuo sguardo affonda, perché sono nervosi, avidi di sapere, d' una curiosità sensuale». Figlia di una povera famiglia proveniente da Salonicco, Justine ha subito due traumi: è stata violentata da un parente quando era ragazzina, e un giorno la sua bambina è scomparsa. Ora è sposata con Nessim, il ricchissimo copto al quale si è legata con un contratto matrimoniale che all' inizio non contempla l' amore - però un tempo ha amato una donna, Clea, e non è riuscita a vincere il terrore che le provoca l' amore; ama Darley, lo scrittore timido, perché questo amore le consente di offendere Nessim, di allontanarsi da lui, e quindi forse di poterlo anche amare, però ama anche Pursewarden, l' altro scrittore, che invece la disprezza e forse per questo motivo lei ama; dona a tutti il suo corpo, «ma è incapace di concedere il suo vero io, perché non sa dove si trovi». Memorabili sono le due scene nelle quali Justine seduce Darley. La prima, sulla spiaggia di Bourg al Arab immersa nella luce malva-limone del pomeriggio, distesi sulla sabbia, con i costumi umidi dopo il bagno. «E se dovesse capitare a noi, che diresti?» chiede con voce roca Justine. «Da quel momento», scrive Darley, «i suoi baci furono tremende pugnalate dolci che lasciavano senza fiato, interrotte solo da un riso selvaggio». La seconda, sempre di pomeriggio, quando con un abito bianco e i sandali entra nella stanza del modesto appartamento che Darley divide col diplomatico francese Pombal. «Voglio farla finita con questa storia al più presto», dice Justine. «Il corpo nudo e aspro di Justine», scrive Darley, «si muoveva come trattenuto entro la lente di ingrandimento di una lacrima gigantesca». Dopo, lei sussurrerà: «Sono sempre così maldestra la prima volta, chissà perché». Ma una battuta pressoché identica molte pagine più avanti la pronuncerà Clea, nell' ultimo romanzo. Perché? Cosa temono, nell' amore, gli stranieri che abitano Alessandria? Perché ripetono ossessivamente che l' unico amore possibile è quello che si nutre della perdita o del tradimento? Che si va a letto con una persona solo per evitare di innamorarsi di quella persona? Che l' amore è limitato, sempre, perché la sua destinazione vera è nelle regioni imperscrutabili dell' anima? Non lo sappiamo. «Baciala», scrive Arnauti, il primo marito di Justine, «e ti accorgerai che i suoi occhi non si chiudono, anzi si spalancano in un dubbio e una pazzia crescenti. La sua mente è tanto all' erta da rendere parziale ogni dono del corpo: un terrore che non può essere curato altro che raschiandolo via». Perché? Forse perché, come pensa Pursewarden, la verità è che «gli dèi sono uomini e gli uomini sono dèi» e entrambi si intromettono nelle rispettive vite, generando quella confusione dello spazio e del tempo che offusca la mente, induce alla solitudine e alla paura? Assediati nelle loro case dalla tenebra africana, dalle urla del bey impotente che bastona le sue donne, dai coiti dei nubiani che fanno tremare le pareti come le palme; accerchiati dal buio, rotto dalle fiaccole e dalle lampade a acetilene, in cui si muovono stregoni e circoncisori, eunuchi e tenutari di bordelli infantili, negre bronzee e sudanesi dalle gengive violette, egiziane dalle mammelle dure come mele, circasse dai capelli biondi e occhi blu; soffocati dagli odori del sudore e delle spezie, dell' orina e del gelsomino appassito, gli alessandrini occidentali scrutano in quella foresta buia della mente, nel buio di quella vecchia carne insaziata di desideri, ma non trovano una risposta al mistero dell' amore. Neppure nelle pagine finali del romanzo riusciranno a capire perché, amando tanto, hanno sofferto tanto. Neppure quando verrà il momento di una illusoria pacificazione e, nell' isoletta di granito di fronte alla costa, Darley e Clea nuoteranno nudi e si colmeranno di baci. Per una futile tragedia - il colpo involontario del fucile subacqueo - Clea rischierà la morte e perderà la mano. E tutti se ne andranno, per sempre. E la città meravigliosa verrà inghiottita nella memoria, col suo mistero.

 * * * L' autore e l' opera Una vita per l' Oriente Lawrence Durrell (nato in India nel 1912, morto in Francia nel 1990) trascorse gli anni della seconda guerra mondiale in Medio Oriente come addetto al servizio informazioni britannico e, in seguito, a Belgrado e a Cipro. 
La sua opera maggiore, «Il Quartetto di Alessandria» (quattro romanzi ambientati in Egitto) è pubblicata da Einaudi.

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